Negli ultimi anni qualcosa è cambiato radicalmente nel nostro modo di guardare al corpo, al tempo e persino alla parola “bellezza”. Se un tempo l’industria del benessere inseguiva la perfezione estetica, oggi la vera ossessione sembra essere la longevità. Non basta più apparire giovani: l’obiettivo è diventarlo davvero, rallentando o addirittura invertendo l’orologio biologico.
Dentro questo scenario, fatto di integratori, biohacking, meditazione e tecniche di medicina rigenerativa, è esploso un nome che in poco tempo è diventato leggenda: NAD, Nicotinamide Adenine Dinucleotide. Una molecola che la scienza conosce da decenni, ma che solo di recente è stata catapultata sul palcoscenico globale, celebrata come il “sacro graal” dell’anti-aging, l’elisir segreto per dare più energia alle cellule, riparare il DNA, mantenere lucido il cervello e regalare anni di vita in più.
La promessa è seducente: iniettare NAD direttamente in vena per rigenerare il corpo dall’interno. Le foto sui social mostrano celebrità collegate a flebo trasparenti in cliniche di lusso, mentre sorridono rilassate su poltrone bianche. I titoli parlano di “cura rivoluzionaria”, di “reset cellulare”, di “benzina per l’anima”. È l’ennesima moda del benessere? O davvero la scienza ha trovato un modo per frenare l’invecchiamento?
Prima di parlare di infusioni, marketing e rischi, bisogna partire dalla biologia. Il NAD non è un’invenzione moderna. È un coenzima presente in tutte le cellule viventi, scoperto all’inizio del Novecento e studiato a fondo dai biochimici. Senza NAD, nessuna cellula del nostro corpo potrebbe sopravvivere: è la molecola che permette la produzione di energia, quella che i mitocondri trasformano in ATP, la “valuta energetica” di ogni attività vitale.
Il NAD non si limita però a questo. Negli ultimi vent’anni, grazie a studi sulla genetica e l’epigenetica, i ricercatori hanno scoperto che questo coenzima partecipa anche a processi più sofisticati: la riparazione del DNA, il controllo delle sirtuine (gli enzimi legati alla longevità), la modulazione dell’infiammazione. In altre parole, livelli adeguati di NAD sembrano essere un requisito essenziale non solo per vivere, ma per vivere a lungo e in salute.
C’è un problema: con l’età, il NAD diminuisce. Dopo i 40 anni la sua concentrazione nelle cellule cala in modo significativo. Alcuni scienziati hanno definito questa perdita “il grande collasso energetico dell’invecchiamento”. Più NAD perdiamo, più il corpo fa fatica a rigenerarsi, più aumenta il rischio di malattie croniche, neurodegenerative e metaboliche. Da qui nasce l’idea: se riuscissimo a ripristinare i livelli di NAD, potremmo forse contrastare questi processi.
Esistono diversi modi per aumentare il NAD. Il più semplice è assumere precursori orali come la niacina (vitamina B3), la nicotinamide riboside (NR) o il nicotinamide mononucleotide (NMN), integratori oggi venduti in tutto il mondo. Ma qui entra in gioco la critica più frequente: gran parte di queste sostanze viene degradata a livello intestinale e metabolico, con effetti variabili e poco prevedibili.
Per aggirare l’ostacolo, medici e cliniche hanno cominciato a proporre la somministrazione endovenosa di NAD. Una flebo che infonde direttamente nel sangue la molecola pura, bypassando l’assorbimento intestinale. Secondo chi la pratica, il risultato è un innalzamento immediato dei livelli cellulari, con benefici percepiti già dalle prime sedute: energia, lucidità mentale, migliore resistenza allo stress.
Ma non è una passeggiata. Le infusioni, a seconda della prescrizione, durano da una a quattro ore, spesso con sensazioni di calore, nausea o malessere temporaneo. Alcuni pazienti raccontano di esperienze “toste” ma illuminanti, come se dopo la fatica iniziale arrivasse una sensazione di pulizia e rinascita. Per altri, invece, è semplicemente un trattamento costoso e invasivo dai benefici incerti.
Le riviste scientifiche raccontano una storia più prudente rispetto ai social. Le evidenze sull’uomo sono ancora limitate. Alcuni piccoli studi mostrano miglioramenti nella sensibilità insulinica, nella funzione mitocondriale, in alcuni marker di infiammazione. Altri studi suggeriscono un potenziale effetto neuroprotettivo, interessante per malattie come Alzheimer o Parkinson. Ma siamo lontani dal poter definire il NAD un farmaco anti-aging provato.
Il rischio, come sempre, è la corsa all’elisir. “Quando una scoperta scientifica tocca il tema dell’invecchiamento, la pressione mediatica diventa enorme” spiega il gerontologo Luigi Fontana. “Ma tra ciò che si osserva in laboratorio e l’applicazione clinica diffusa c’è un abisso. Serve tempo, rigore e prudenza.”
Eppure, la fascinazione è fortissima. Nel mercato americano si contano già centinaia di cliniche che offrono NAD IV therapy, con prezzi che vanno dai 500 ai 2000 dollari a seduta. In Europa la pratica è più recente ma in rapida crescita, soprattutto in Svizzera, Regno Unito e Italia.
Ogni volta che il mondo del wellness scopre un “nuovo santo graal”, la dinamica si ripete. Da una parte ci sono gli entusiasmi, i post su Instagram che mostrano celebrità collegate a flebo trasparenti, le promesse di energia infinita. Dall’altra ci sono i medici più prudenti, i ricercatori che chiedono dati, la comunità scientifica che si interroga. Con il NAD infusionale non è diverso.
Gli effetti collaterali più frequenti sono benigni ma certe volte fastidiosi come un po’ di nausea, mal di testa, senso di calore. Alcuni pazienti riferiscono episodi di ansia o agitazione durante l’infusione, come se l’organismo fosse sottoposto a un piccolo stress. Per questo motivo i protocolli variano molto: c’è chi diluisce le infusioni in 3-4 ore, chi preferisce tempi più rapidi, chi combina il NAD ad altre sostanze per ridurre i disagi.
Il pericolo maggiore, però, non è clinico ma culturale: quello di considerare il NAD come una panacea, un shortcut che può sostituire anni di cattive abitudini. “Non possiamo pensare di vivere male e poi risolvere tutto con una flebo” continua Rinaldi. “Il NAD non è una magia. È uno strumento che, in alcuni contesti, può dare un aiuto. Ma il vero lavoro resta quello quotidiano sullo stile di vita.”
Per capire davvero come agisce il NAD bisogna guardare al contesto. È inutile parlare di longevità se non si parte dalle basi: alimentazione, sonno, movimento, gestione dello stress. Non sono slogan, ma i pilastri della biologia.
Diversi studi hanno dimostrato che pratiche come il digiuno intermittente, la restrizione calorica o semplicemente un’alimentazione bilanciata aumentano naturalmente i livelli di NAD, stimolando gli stessi enzimi (le sirtuine) che le infusioni cercano di attivare. Il corpo possiede già i suoi meccanismi per rigenerarsi, a patto di non sovraccaricarlo continuamente con eccessi alimentari, stress cronico, tossine ambientali.
Lo stesso vale per il sonno: bastano poche notti interrotte per ridurre la capacità delle cellule di rigenerarsi. “Il NAD è come un direttore d’orchestra” spiega la nutrizionista e biologa Anna Corradi. “Ma se l’orchestra è fatta di musicisti stanchi, denutriti o fuori tempo, nemmeno il miglior direttore può fare miracoli.”
Il messaggio che traspare dai professionisti più seri è chiaro: le infusioni di NAD non devono essere l’alibi per trascurare le fondamenta. Anzi, funzionano meglio proprio su chi ha già intrapreso un percorso di salute consapevole.
Ed è qui che entra in gioco un approccio sempre più richiesto: la personalizzazione. Non esistono due pazienti uguali, e un protocollo che funziona per uno può essere inutile o addirittura dannoso per un altro. Le cliniche più attente hanno compreso che il NAD non va somministrato in modo standardizzato, ma inserito in un progetto su misura.
“Prima di tutto serve una valutazione accurata” spiega Luca Ferrero, medico specializzato in terapie infusionali che da anni lavora con il NAD. “Io non faccio mai un’infusione senza conoscere il paziente a fondo. Chiedo un’anamnesi dettagliata, la storia clinica, lo stile di vita attuale e quello passato. Poi prescrivo analisi specifiche: esami del sangue per controllare funzionalità epatica, renale, profilo metabolico, marker infiammatori. Solo dopo decido se e come procedere.”
Il progetto personalizzato può includere cicli intensivi di infusioni, magari una settimana di trattamenti quotidiani, seguiti da richiami periodici. Oppure un approccio più soft, con sedute mensili integrate a nutraceutica e modifiche dello stile di vita. “Il segreto è ascoltare il corpo del paziente e monitorare i risultati. Alcuni percepiscono un cambiamento immediato, altri graduale. Ma non si può improvvisare.”
Per capire meglio come funziona un approccio serio e individualizzato, abbiamo posto a Ferrero quattro domande specifiche.
Come si gestiscono le infusioni di NAD per massimizzare i benefici e ridurre i rischi? “Con gradualità. Non ha senso infondere grandi quantità in poco tempo. Ogni organismo reagisce diversamente: alcuni tollerano bene infusioni rapide, altri hanno bisogno di tempi molto lenti per evitare nausea o tachicardia. Monitoriamo continuamente parametri vitali e la percezione del paziente. L’obiettivo non è la quantità, ma l’adattamento fisiologico.”
Come si costruisce un progetto personalizzato? “Parte tutto dalla conoscenza del paziente. Valuto obiettivi, storia clinica, eventuali patologie, terapie in corso. Poi integro con esami di laboratorio e, se necessario, indagini più approfondite. Solo allora decido protocollo e frequenza. È un percorso, non una seduta spot.”
Quali analisi specifiche sono indispensabili? “Almeno un pannello metabolico completo, funzionalità epatica e renale, glicemia, profilo lipidico, marker infiammatori come PCR e omocisteina. In alcuni casi anche analisi genetiche e test di stress ossidativo. Senza questi dati si naviga a vista.”
Quanto conta lo stile di vita? “È il fondamento. Le infusioni di NAD non possono sostituire sonno adeguato, alimentazione equilibrata e movimento regolare. Al contrario, questi fattori ne potenziano l’efficacia. Io dico sempre: la flebo è il fertilizzante, ma il terreno deve essere già sano. Se il terreno è inquinato, non cresce nulla.”