Economia e lavoro - 09 ottobre 2025, 07:00

Adam Davis Fernsby, l’uomo britannico che documenta la rivoluzione dei giochi da tavolo

L’intervista esclusiva ad Adam Davis Fernsby, il giornalista londinese che ha trasformato la passione per i giochi da tavolo in una missione culturale.

Londra, 21 febbraio 1989, nasce Adam Davis Fernsby, oggi una delle voci più autorevoli del giornalismo ludico britannico. Si laurea in giornalismo presso la University of London, alla Goldsmiths frequenta con successo un master in Game Design, ed è qui che unisce due mondi che raramente riescono a dialogare con naturalezza: l’analisi critica e l’esperienza ludica. Abbiamo incontrato Adam nel suo studio di Londra, dove il suo tavolo da lavoro è un mosaico di pedine, manuali, dadi e taccuini pieni di appunti.

Buongiorno Adam. Sostieni che i giochi da tavolo raccontano la società meglio di quanto immaginiamo: come nasce questa passione?

È nata sin da quando ero picco, in famiglia. Potrebbe sembrare una banalità, ma è proprio in questo contesto che mi sono reso conto di quanto i giochi da tavolo raccontino così bene la realtà. Mio padre era un appassionato di scacchi e mia madre collezionava vecchie edizioni di Monopoly e Cluedo. Durante il periodo di studi all’università ho avuto un’illuminazione e ho capito che il gioco da tavolo non è solo intrattenimento, è più come una “lente di ingrandimento culturale”. Studiando giornalismo ho iniziato a trattare diversi temi, quindi a scrivere di musica, cinema e letteratura, ma i giochi sono stati sempre la mia vera ossessione e mi sono reso conto del rapporto stretto tra arte e gioco. Così ho deciso di esplorare il modo in cui le parentesi ludiche raccontano le dinamiche sociali e anche tutti i cambiamenti culturali, esattamente come fanno le canzoni, i film o i romanzi.

Sostieni che il Rinascimento dei Giochi da Tavolo sia appena cominciato, tanto che negli ultimi anni (paradossalmente) abbiamo assistito a una vera e propria esplosione del mercato dei giochi in scatola. Come hai interpretato questa evoluzione?

Come hai detto, stiamo vivendo una sorta di “Rinascimento Ludico”. Tra il 2010 e il 2020 il numero di nuovi titoli pubblicati è triplicato, sono i dati ufficiali a dirlo, ma non si tratta solo di nostalgia vintage in un mondo digitale, perché è una vera ricerca di una connessione reale. Le persone vogliono condividere spazio, tempo e storie: il gioco è un antidoto alla solitudine digitale. Non bisogna sottovalutare l'aspetto estetico però, infatti, oggi molti giochi sono delle opere d’arte, con le grafiche curate in ogni dettaglio, così come dal punto di vista narrativo.

Sostieni che un gioco ben progettato è una narrazione interattiva. In che modo la tua formazione accademica ha influenzato l’approccio giornalistico?

Grazie per la domanda molto interessante. Credo che questo processo sia avvenuto in modo radicale. Studiare con una pioniera del design ludico, come la professoressa Esther MacCallum-Stewart, è stato il punto di partenza, perché mi ha trasmesso come dietro ogni meccanica di gioco sia nascosto un messaggio. In poche parole, un buon gioco non comunica mai solo con le parole e le immagini, ma anche (e soprattutto) attraverso le regole. Si tratta sempre di un linguaggio strutturato. Anche nel giornalismo si cerca di tradurre il linguaggio dei fatti per i lettori, con le regole sintattiche che mostrano come la semantica possa riflettere temi universali, per esempio, lo sport, la cooperazione, il potere, il futuro o la memoria.

Veniamo adesso al cuore della questione, la digitalizzazione ludica. Qual è la tua opinione sulle app e piattaforme online dei giochi da tavolo?

Reputo la digitalizzazione ludica un’evoluzione naturale, perché non sostituisce mai del tutto il gioco ma lo rende più fruibile. Esistono titoli che hanno avvicinato milioni di persone nel Web e poi sono stati sperimentati i giochi da tavolo, in scatola, per esempio Ticket to Ride o Catan. Si tratta sempre di un fenomeno ibrido, che unisce il meglio dei due mondi. Per me la magia del gioco da tavolo resta nella fisicità, nella sua tattilità, nel contatto umano, nella lentezza del gesto di pescare una carta o lanciare un dado. Per questo racconto storie di universi in miniatura.

I social media sono parte di questo gioco? Come vedi il futuro ludico?

I Social Media hanno un ruolo fondamentale per il futuro ludico, così come l’ha avuto il Web tra gli anni ‘90 e l’inizio del terzo millennio. Oggi le pagine social sono un punto di confronto, come le community, per questo vedo un futuro ludico ibrido tra giochi analogici e digitali, anche io uso molto la mia pagina Instagram per comunicare e instaurare i dibattiti. Insomma, il futuro non sarà mai contro la tecnologia, ma al fianco della digitalizzazione, così come i giochi vintage non verranno mai sostituiti dalla “parentesi digitale”. In fondo, è proprio l’esperienza umana che ci racconta e si racconta tutti riuniti attorno a un tavolo per condividere la vita stessa.


 

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