Dopo oltre 25 anni dal successo di "Supercafone", Tommaso Zanello, in arte Piotta, torna in scena con un romanzo e un nuovo disco. Il cantante sarà a Torino sabato 15 novembre per un doppio appuntamento in cui presenterà entrambi i suoi ultimi lavori: dalle ore 18.30 alla Scuola Holden presenterà il libro "Corso Trieste" e alle dalle ore 21.30 si esibirà dal vivo con la band all’Off Topic.
Una città Torino che non poteva mancare nel suo tour: “Torino alla storia della musica ha dato tanto e continua a dare tanto anche in ambiti musicali differenti, dagli Statuto passando per i Subsonica, fino agli Eugenio in via Di Gioia. Diversi stili, diverse generazioni. Mi sembra una città che nella sua magia ha anche questa capacità di riuscire a dare luce a figli di stili differenti, ma tutti importanti e noti a livello nazionale”.
Sia nel romanzo che nell’ultimo disco, racconti del rapporto con suo fratello che è scomparso prematuramente, scrittura e musica ti hanno aiutato in qualche modo ad affrontare la perdita?
“Sicuramente come ogni volta nella mia vita, l’arte mi ha aiutato a superare un momento difficile. Io l’ho sempre attraverso la musica, questa volta l’ho fatto anche con la prosa. Questo perché Fabio faceva lo scrittore, aveva pubblicato circa 20 libri con tematiche religiose e spirituali, però raramente parlava di sé. Era molto schivo e riservato. Quando ho messo a posto tutte le sue cose mi è caduto l’occhio su queste 50 pagine in cui raccontava in prima persona la sua adolescenza negli anni Settanta. Era giovane, ma dinamico, la politica la seguiva con fervore. Racconta di un’Italia che non c’è più, dal ’68 agli anni ’80. Da lì ho avuto questo dialogo metafisico, tra me, qui e ora, e lui, ovunque sia. Con tutte le differenze caratteriali nostre e del Paese. È un racconto personale, ma anche collettivo”.
Tra gli ultimi brani usciti anche il singolo “Ecchime”, perché questo tributo a Pasolini? cosa ha rappresentato per lei?
“È un brano a cui tengo tanto, da quando non c’è più Fabio cerco anche di farne le veci. Ho deciso di mettere sotto forma di canzoni le cose che sono più delicate e di nicchia, unendo il mio percorso musicale degli esordi a quello del cantautorato con cui sono cresciuto. Sono ascolti che sto facendo convergere nell’ultimo disco. Una parte ritmica moderna con una più melodica intima e cantautorale perché sono due mondi prevalenti. Pasolini, andava a confluire qui perché è stato uno dei più grandi intellettuali in cui c’è quella Roma Est, il cinema, il mondo rurale, cose che sono anche mie e di mio fratello”.
Sono passati 25 anni da "Comunque vada sarà un successo” e da “Supercafone”, come si è evoluta la sua musica in questi anni?
“Quando ho cominciato in qualche modo volevo trovare un linguaggio musicale innovativo che raccontasse la mia generazione. Lo trovai nel rap. Ricordo che all’inizio eravamo visti come degli alieni, eravamo cinquanta persone per ogni grande città. Siamo stati bravi a fare rete tra noi e a supportarci a vicenda, creando dei legami umani e artistici. Ora sono cresciuto e queste esperienze di vita le ho messe dentro le mie canzoni anche perché sono sempre più io. Sono sempre più Tommaso, mi metto a nudo con nuove capacità canore e musicali che all’inizio non avevo. Provengo dal rap, ma la mia è una ricerca personale uguale a nessun altro credo, non che sia migliore, ma diversa. Perché penso che il segreto di un artista sia trovare il proprio baricentro e la propria ricetta”.
Cosa ne pensa della scena hip hop e rap attuale?
“Si è allargato come scena musicale. I grandi numeri fanno gola alle grandi etichette che in quanto tali hanno le loro regole che sono per lo più industriali. Per la legge dei grandi numeri, da che era artigianato puro, è diventato anche industria. Chi comincia oggi ha questa grande pressione di fare numeri e non si gode la magia della musica che permette in età complicate di unirsi ad altre persone, di socializzare, non sotto forma di gara, ma di vicinanza”.
C’è qualche artista torinese con cui collabora o con cui vorrebbe collaborare?
“Torino ha delle caratteristiche simili a Roma perché ha mantenuto quel filo rosso con la vecchia scuola. Tra i rapper apprezzo molto Beba, ma anche Willie Peyote, ha uno stile che mi piace perché è pungente e sorridente, molto sabaudo con quel pensiero malinconico di sottofondo. Un altro Samuel, perché come cantante è unico”.
Torino è la città del libro, ma anche del cinema, c’è qualche progetto in questo senso che sta sviluppando o che le piacerebbe sviluppare?
“Venni anche anni fa al TFF, fui contento di esserci, mi piacerebbe tornare. Come l'attore l'ho fatto qualche volta per gioco, ma mi piace fare le colonne sonore e un giorno mi piacerebbe scrivere una sceneggiatura. Corso Trieste penso che si presti bene. In attesa di questo, mi dedico alla parte di scrittura, mi sento un osservatore della società, un narratore”.














