Prosegue il racconto dell'associazione di animazione interculturale Asai sui lunghi mesi di pandemia vissuti a Torino da educatori e adolescenti. Oggi l'attenzione si sposta sul rapporto tra studenti e scuola, mediato dalla tanto discussa DAD, che, in molti casi, ha acuito il divario preesistente tra chi dispone di migliori mezzi tecnologici e chi deve fare ogni giorni i conti con una connessione instabile e uno spazio domestico limitato.
A raccogliere le sensazioni dei giovani lontani dalla routine scolastica, fatta di scambio in presenza, è Riccardo D'Agostino.
Protagoniste sono Aicha, Salma, Meryem e Hajar, quattro ragazze tra i 15 e i 17 anni di origine marocchina. Gli educatori di Asai le incontrano un pomeriggio negli spazi di via Pinerolo 10, a cavallo tra i quartieri Barriera di Milano e Aurora.
Al mio arrivo, abbandonano quaderni e libri su cui stanno studiando e prendiamo posto intorno a un tavolino con sopra tè e biscotti. Iniziamo a discutere di scuola, di insegnanti e compagni, di lezioni in presenza e a distanza, del periodo che stanno vivendo.
Oggi è il primo giorno di ritorno a scuola per gli studenti di Torino e del Piemonte, dopo mesi chiusura. Non faccio in tempo a introdurre l’argomento che le ragazze partono a parlare come un fiume in piena.
Prende la parola Aicha: “A me non è piaciuto fare lezione a distanza. Durante la chiusura dell’anno scorso per me è stato difficilissimo perché, seppur con una buona connessione, vivo in una casa piccola con tre fratelli, tutti a doverci collegare contemporaneamente. Quando a settembre siamo stati chiamati a rientrare a scuola, sono stata contenta di ritornare in classe. Nel frattempo, mio padre ha tolto il WiFi, così quando siamo tornati a fare lezioni a distanza, la connessione dati non funzionava bene. L’anno scorso pensavo che i ragazzi che avevano problemi con la connessione, fingessero per non fare le interrogazioni, ma poi, quando è arrivato il mio turno, ho capito che poteva essere vero”.
Tutte raccontano della fatica di alcuni loro compagni di stare agganciati all’esperienza scolastica, fatica alimentata dall’isolamento, dalla facilità con cui ci si deconcentra e ci si demotiva, fino a perdersi per strada. La mancanza di interazione, anche solo di sguardi, tra insegnanti e allievi, facilita il cedimento alle distrazioni.
Spiega Aicha: “Sei al pc, ma col telefono sempre vicino e magari hai anche la televisione nella stessa stanza. A scuola i professori ti hanno davanti. Dall’espressione dei volti possono vedere se abbiamo capito o meno, se siamo stanchi, se un’intera classe è presente, segue, apprende”. “In classe”. Incalza Selma: “i professori ci guardano in faccia e dicono ‘Mi sembrate stanchi, oggi sembrate distratti, non avete capito…’. E ci spiegano meglio. In DAD si va spediti, non abbiamo il coraggio di interrompere la lezione. Aspetti la fine dell’ora e poi il prof saluta perché deve andare in un’altra classe”.
La distanza amplifica le incomprensioni, alle quali Hajar risponde con remissività: “L’anno scorso, durante un’interrogazione di francese ho avuto problemi di connessione, forse perché la piattaforma non ci reggeva in tanti. Così se attivavo la videocamera non si capiva la voce e viceversa. La professoressa mi accusava: ‘Come è che quando smetti di parlare inizio a vederti bene e quando parli ti vedo bloccata?’. Non ho detto niente, perché tanto era inutile parlarci”.
Tutto il gruppo concorda sul fatto che sia fuorviante concentrare il dibattito pubblico sulla DAD, quando il vero centro della scuola, che si svolga in presenza o a distanza è l’apprendimento dei ragazzi. La didattica è lo strumento di cui gli insegnanti si dotano per mettere gli allievi nella condizione di far propri i meccanismi e i contenuti del sapere.
In questo senso, dunque, vengono apprezzati quegli insegnanti che incentrano le loro lezioni sui bisogni dei ragazzi, sulla motivazione all’apprendimento, sul coinvolgimento degli studenti, chiamati continuamente a mettersi in gioco.
Aicha: “Appena rientrati a scuola, una sola prof ci ha chiesto come ci siamo sentiti in questo periodo, ci ha domandato delle vacanze. Ed è la stessa che ci fa delle lezioni interessanti, usa delle slides, si ferma per verificare se abbiamo capito. È la prof di biologia e scienze, la mia preferita".
Meryem: “Già in presenza la prof di storia era molto organizzata. Attraverso lo schermo carica PowerPoint, ci dà i concetti chiave, ripete le cose che non capiamo. La cosa più importante è far capire. Anche durante le interrogazioni lei è molto precisa, chiede tutto, ma noi studiamo e ci prepariamo tutti. Le sue interrogazioni ci fanno paura, perché lei è ben precisa e chiede tutto. Ma lei è corretta e impariamo molto. Se tutti i professori fossero come lei saremmo dei piccoli geni”.
Intorno a noi si radunano gli altri ragazzi del centro che hanno finito di studiare e fare i compiti. Ognuno ci tiene a intervenire, condividendo il suo parere e la sua esperienza. Le quattro amiche si fanno scattare una fotografia e, prima di riprendere a studiare, iniziano a ritirare vassoi, bicchieri e avanzi della merenda. Sanno dove mettere le mani, dove trovare la scopa e in quali vani riporre ogni cosa. Le saluto pensando a quanto sia importante per loro l’aver trovato una scuola fuori da scuola e una casa fuori da casa.