Attualità - 23 ottobre 2021, 10:28

La nuova vita del “Rossini”, nel segno della continuità

Lo storico Caffè ha cambiato gestione. I nuovi proprietari: “Un’emozione essere nel nostro posto del cuore"

La nuova vita del “Rossini”, nel segno della continuità

Ci sono luoghi in città che per un’innumerevole serie di circostanze - spesso casuali - diventano sacri, quasi mitologici, segnano intere generazioni. Il Caffè Rossini, all’angolo tra corso Regina Margherita e la via dedicata al compositore pesarese, è uno di quelli.

Da queste parti il tempo sembra essersi fermato al 1993, quando i fratelli Franco e Marco Gatto inaugurarono il Caffè in un angolo di marciapiede che traccia una sorta di confine, anticipando quello naturale della Dora: da una parte il centro città, dall’altra la periferia. Trent’anni dopo la situazione è radicalmente cambiata e oggi Borgo Rossini è un quartiere di tendenza, affollato da universitari e da decine di locali che nel weekend rigurgitano clienti.

La rivoluzione, però, non pare aver toccato il Rossini, che al di là del fiume, scrutando da sotto le tende color granata, sembra osservare il tempo che scorre via portandosi dietro le mode passeggere. Neppure il recente passaggio di consegne tra i Gatto e i nuovi proprietari ha scalfito l’essenza del Caffè, che resta difficile da collocare. Chi dice “a metà tra un bar italiano e un pub inglese” ma la sensazione è che ci sia dell’altro, qualcosa di indefinito che probabilmente sta alla base del successo di questo avamposto urbano. 

I nuovi soci sono quattro ragazzi, tutti sui quarant’anni: Davide, Diego, Marco e Gianni, quest’ultimo già al Rossini con i vecchi proprietari. “È sempre stato il posto del cuore di mio fratello Davide - racconta Diego - lui negli anni Novanta era uno dei “bomber" del Rossini. Quando abbiamo saputo che cercavano nuovi gestori ci siamo fiondati e oggi siamo qui, seduti agli stessi tavoli di allora”. Per i Gatto non è stato semplice lasciare: il Rossini è aperto da lunedì a sabato, dalle cinque del pomeriggio alle quattro del mattino.

Non è una stanza d’ufficio, una scrivania con lampada e scartoffie, semmai un appendice della propria casa, un luogo d’incontro e di chiacchiere infinite, che al secondo bicchiere di birra si perdono nell’aria. “Prima di trovare l’accordo - spiega ancora Diego - abbiamo assicurato a Franco e Marco che il Rossini sarebbe rimasto tale e quale, nessun sushi bar o altre formule moderne. Hanno posto una condizione e noi l’abbiamo accettata, anche perché cambiare sarebbe stata una follia”.

Seduto al bancone è impossibile non accorgersi di Italo, 57 anni, falegname di Vanchiglia. Sorseggia una birra e gusta delle acciughe al verde, fra i suoi piatti preferiti. “Ho girato molti posti, quindi tre anni fa ho deciso di fermarmi qui, l’ambiente è familiare, ci sono tante birre. Sono tra i clienti più recenti, alcuni vengono qui da sempre, qualcuno trascorre l’intera serata, Tutti li conoscono, si respira sempre una bella aria”.

Nel dehor Andrea, una cinquantina d’anni, discute insieme a due amici di vecchia data. “Venivo al Rossini quando frequentavo l’Università e ci torno oggi, quando esco dall’ufficio, per bere una birra. Durante l’ondata di Covid si era diffusa la notizia che il locale non avrebbe più riaperto e devo ammettere che mi sono preoccupato. Questo posto continua ad avere qualcosa di speciale, di magico. Forse perché ha conservato la sua anima originaria e popolare, che mi auguro non smarrisca mai”.

Marco Panzarella