La rivoluzione nel mondo dell'auto non si manifesta solo a livello di progettazione e di produzione. Anche l'anello finale, quello della vendita all'utente, si deve adattare, modificando (a volte anche radicalmente) strategie, approcci e abitudini. Lo sa bene Francesco Di Ciommo, dal 2014 alla direzione e oggi presidente e ceo di Authos spa, una delle maggiori realtà nel mondo della vendita di automobili. A Torino e non solo.
Presidente Di Ciommo, come ha visto cambiare il suo settore nell'ultimo decennio?
"In questi anni sono successe tante cose, a cominciare da una prima grande rivoluzione come quella della digitalizzazione. Un po' tutto il comparto auto, dalla produzione al canale distributivo, ha dovuto adattarsi. Sono cambiati i modelli, l'approccio, ma anche l'aspetto culturale".
Sono cambiate anche per Authos?
"Nel 2014 Authos era in una situazione delicata, stava affrontando una ristrutturazione dei debito e c'erano difficoltà. Ho trovato abitudini e approccio molto legati al passato: ecco perché ho cercato di implementare un nuovo modello organizzativo, non più padronale, ma con una suddivisione di ruoli e di responsabilità nuovi. Un cambiamento che spesso viene sottovalutato, ma che ha aperto la strada a un modello più evoluto, capace di generare crescita e competitività. Ho spinto molto sulla digitalizzazione: ci siamo trovati di fronte a un mercato che cambiava velocemente, portando novità come la vendita online, la firma digitale e addirittura la vendita in videochiamata. Così, quando è arrivata la pandemia, noi eravamo già preparati e questo ci ha permesso non soltanto di resistere, ma di capitalizzare gli investimenti innovativi su cui avevamo puntato. Anche se il mondo dell'auto è storicamente molto lento a rispondere alle novità. Le macchine peraltro le vendiamo non solo a Torino, ma in tutta Italia e quando c'è stato una chiusura fisica così netta abbiamo potuto rispondere online a una domanda che resisteva. Questo ci ha permesso di registrare un fatturato molto positivo anche nel periodo pandemico e post pandemico".
Oltre alla digitalizzazione, quali altri cambiamenti ha dovuto affrontare il vostro settore?
"Sicuramente la crisi legata ai prezzi. La carenza di prodotto, dei microchip in particolare, ha portato all'aumento dei listini. Si è arrivati a crescite anche del 20%. Ma quando la produzione è tornata a volumi normali ci si sarebbe attesi un abbattimento dei prezzi che invece non c'è stato. E questo ha portato a una crisi, che non ha legami con l'avvento dell'elettrico in sé, ma nell'incontro più difficile tra la domanda del cliente e l'offerta del mercato. Nessuna casa automobilistica ha abbassato i listini, magari ha lavorato sulla scontistica, ma non ha livellato verso il basso il prezzo di partenza. E i clienti al giorno d'oggi tendono invece a preferire l'accessibilità economica di una vettura rispetto al brand e al suo possibile blasone. Anche nel mondo dell'usato funziona così: al cliente serve una macchina che costi poco".
C'è poi tutta la partita del green, da affrontare. E' così?
"E' un dato di fatto la rincorsa che ha portato le case automobilistiche a buttarsi sull'elettrico. Ma è un cammino che, per il momento, non ha dato risposte per esempio sulle batterie, sulla loro produzione e sulla possibilità di smaltirle. C'è poi un tema culturale che non vede così semplice l'infrastrutturazione di colonnine di ricarica e la diffusione dell'auto elettrica. Qui sul nostro territorio non ci sono villette a schiera, ma condomini in aree con pochi parcheggi. L'elemento positivo sul fronte ambientale risulta quindi difficile da conciliare con le necessità quotidiane della domanda. L'elettrico è stata una scelta molto azzardata, pur partendo da un principio condivisibile di sostenibilità ambientale. Nel frattempo sta creando un impatto sociale problematico nelle fabbriche, con la carenza della produzione. Mentre la fetta di mercato reale è rappresentata da pochi punti percentuali".
Cosa chiede chi si rivolge a voi?
"Chi viene da noi vuole essere consigliato, a cominciare dall'elettrico. E noi cerchiamo di spiegare e di rassicurare, anche se non c'è il boom che si è verificato in passato per altre campagne di incentivi e rottamazione. Alla fine la grande richiesta è sull'ibrido, sulle motorizzazioni plug-in. Per vendere l'elettrico, secondo me, bisogna dare al cliente una vettura per due anni, come fosse un lungo test drive, così da capire se questo si combina con tutte le sue esigenze di parcheggio, di ricarica e così via. Senza perdere il valore dell'investimento che per una famiglia è rilevante. Anche in questo modo cerchiamo di lavorare al fianco dei clienti, perché è importante anche accompagnarli e trattenerli, non rischiare di perderli nella frenesia di aver venduto qualcosa".
Come cambia il vostro mestiere, alla luce di tutti questi mutamenti?
"Senza dubbio cambia il rapporto con il cliente. L'acquisto dell'automobile è percepito sempre di più come una spesa rimandabile: se decidono di cambiare, le persone cercano qualcosa di accessibile a livello economico e cercano finanziamenti o pagamenti a rate, ma lo fanno in un periodo in cui il mondo del credito è sempre più complicato. Il cliente è molto disorientato, senza dimenticare che le nuove generazioni tendono a preferire il car sharing: il concetto dell'auto di proprietà andrà sempre più a diminuire e si concentrerà sul servizio ricevuto, più che sul mezzo che si è usato".
Come ci si adatta?
"Bisogna cambiare il concetto di vendita. Concentrandosi sulla fascia d'età tra i 40 e i 50 anni che ancora cercano un'auto da comprare, ma anche orientandosi su nuove fette di mercato come quelle rappresentate dalle persone che puntano magari noleggi a 3 anni. E poi bisogna investire sui servizi post vendita: noi per esempio stiamo proponendo sempre di più servizi come il tagliando a domicilio, recandoci di persona presso uffici e aziende dove i nostri clienti hanno le auto. Oppure provvedendo al prelievo dell'auto per poi riportarla a domicilio al termine del tagliando. Vogliamo fornire più velocità di risposta e fare perdere meno tempo possibile al cliente. Abbiamo addirittura aperto una sede al Caat per essere vicini agli operatori che lavorano in quell'area: siamo noi ad andare da loro. Vogliamo creare sempre nuovi modelli di business che intercettino i nuovi bisogni e le domande della clientela. I venditori, poi, devono abituarsi alla gestione del traffico virtuale: non ci si può più accontentare del cliente che entra in negozio, bisogna intercettarli con campagne social e ingaggiarli con tutti i mezzi tecnologici a disposizione".
Cosa bolle in pentola, ancora, in Authos?
"La nostra realtà conta oltre 120 dipendenti, uniti a 54 consulenti vendita auto e 8 consulenti vendita ricambi. Inoltre contiamo su 27 tecnici di officina. Vendiamo circa 960 veicoli nuovi all'anno e 600 veicoli commerciali nuovi, mentre l'usato arriva a 1920 veicoli all'anno di media. Ma Authos vuole essere anche una società benefit a tutti gli effetti, nel rispetto di quei valori contenuti all'interno dell'agenda 2030 e all'orientamento della Generazione Z verso prodotti che, anche sostenendo una spesa superiore, rispettano i valori ESG. Come nel 2014 la digitalizzazione era stata la novità, questa sarà la nostra prossima sfida. A livello di governance, abbiamo erogato 6100 ore di formazione, mentre i fornitori valutati con criteri Esg sono l'80%. Il consumo energetico è in calo del 15% rispetto all'anno precedente, mentre l'intensità energetica è scesa del 19%, senza dimenticare che tutta l'energia che utilizziamo è ottenuta da fonti rinnovabili. I rifiuti prodotti sono in calo del 18%, così come l'intensità delle emissioni è diminuita del 25%. Anche il consumo di gasolio è in diminuzione: -31% rispetto all'anno precedente". Le persone sono sempre al centro delle nostre politiche di welfare. Motivo per cui abbiamo rafforzato l'impegno effettivo verso l'inclusione, attraverso l'inserimento di risorse con fragilità, coinvolte in un processo di crescita professionale e personale".