Eventi - 14 maggio 2018, 14:20

#SalTo18, il Premio Nobel Herta Müller: “La paura è uno strumento del potere”

La scrittrice romena, di origine tedesca, ha ricevuto il Premio Mondello Autore straniero al Salone del Libro di Torino, conferito dallo scrittore torinese Andrea Bajani. L’autrice: “Le dittature non scompariranno”

#SalTo18, il Premio Nobel Herta Müller: “La paura è uno strumento del potere”

Quella di Herta Müller è una storia divisa tra due nazioni: la Romania, dove  è nata, e la Germania, di cui è originaria la minoranza linguistica di cui fa parte e che abita un piccolo villaggio romeno. Le strade che non ci sono, la campagna sterminata, il lavoro costante nei campi hanno condizionato l’immaginario della scrittrice. Poi c’è la prospettiva linguistica, divisa tra romeno e tedesco, che ha portato Andrea Bajani, giudice monocratico del Premio Mondello Autore straniero 2018, a conferire il riconoscimento alla scrittrice. “Scrivere – ha detto Bajani motivando il premio – significa prima di tutto voler bene alla lingua. La letteratura di Herta Müller ha raccontato come pochi altri le contraddizioni del XX secolo”.
“Il Premio Mondello – ha spiegato Giovanni Puglisi, presidente della Fondazione Mondello, che organizza il premio – ha due vite, e dal 2012 collochiamo un premio internazionale a Torino”.

Herta Müller ha potuto raccontarsi, rispondendo alle domande di Bajani. “Il mio villaggio – ha spiegato – non aveva neanche una strada asfaltata e dipendeva dai contatti con la città. Intorno c’era una grande pianura, parlavamo tutti un dialetto tedesco. A scuola ci insegnavano il romeno ma nemmeno gli insegnanti lo conoscevano bene”. Poi, a 15 anni, il trasferimento in città e il liceo. “Ho iniziato a leggere libri – ha proseguito la scrittrice, Premio Nobel per la Letteratura nel 2009 – e ho notato la bellezza di questa lingua, ma ho anche notato come in alcuni casi incontrasse il tedesco. Il romeno ha un linguaggio quotidiano, intermedio tra il dialetto e un livello alto, molto vivido e frivolo, si possono dire tante cose che in tedesco suonerebbero volgari”.

In Romania, tuttavia, Herta Müller ha vissuto gli anni della dittatura di Ceausescu, che hanno segnato il suo pensiero e la sua produzione. “La dittatura – ha raccontato – ha rovinato la lingua, non c’erano più analogie con le persone semplici”. Da figlia di contadini, cresciuta a contatto con la Natura ma vivendo il paesaggio come un luogo di lavoro, disturbante nel suo essere silenzioso e strumentalizzabile, ha potuto interpretare il regime con un occhio critico, lucido e acuto. “Anche la dittatura ha un silenzio – ha aggiunto – perché quel che sai lo tieni per te, se non vuoi comprometterti. Impari a tacere”.

Un tacere mosso dalla paura che, per Herta Müller, è strettamente legata al coraggio. “Le autorità – ha spiegato l’autrice – si accorgono molto in fretta se non sei d’accordo con il regime. La paura c’è sempre, ma è un obiettivo delle dittature. Durante il socialismo l’economia non funzionava, ma l’unica cosa che andava avanti era la produzione di paura”. Un discorso che può essere attualizzato anche a quanto accade oggi. “Anche i populisti fanno paura – ha sottolineato – perché la producono e se ne approfittano, è uno strumento del potere e ci sono persone che si specializzano in questo, per non farla diminuire di intensità”.

“Nessuno – ha concluso – crederà mai che non ci saranno più dittature. Pensiamo alla Turchia, dove abbiamo una dittatura mostruosa che sta venendo a galla, oppure all’Est Europa, mezze democrazie dove assistiamo a dei ritorni di dittatura. Poi Iran, Arabia Saudita e Cina, ma anche Putin, che pensavamo potesse diventare democratico. Quindi il Venezuela, il Nicaragua, abbiamo dittature dappertutto. Infine gli Stati Uniti, che non diventeranno una dittatura, ma stanno rovinando le cose perché Trump è un distruttore”.

Paolo Morelli

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