Gli sguardi emozionati di decine e decine di giovani, la curiosità di genitori e adulti: ha conquistato tutti Marco Bersanelli, rinomato astrofisico che nella serata di venerdì 29 marzo ha portato all’istituto Sant’Anna il “Grande spettacolo del cielo”, appuntamento conclusivo della “Tre giorni della Scienza”.
Prima dell’incontro tra lo scienziato e i ragazzi del Sant’Anna, abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con il professor Bersanelli. I temi trattati? L’astrofisica, l’educazione dei giovani d’oggi e i cambiamenti avvenuti nel mondo della scienza.
Come si possono far appassionare i giovani d’oggi ad argomenti complessi come quelli trattati in questa Tre Giorni della Scienza?
"Per appassionare i giovani occorre essere appassionati noi che raccontiamo loro queste cose. Passione, stupore e curiosità si trasmettono tra esseri umani, non tra cervelli o formule. E’ una relazione personale quella che può comunicare la bellezza delle cose".
Cosa ha mosso la sua vita per decidere un giorno di dedicarla agli studi di astrofisica?
"E’ nato in me fin da ragazzino, 12-13 anni. Molto presto. C’è qualcosa che mi ha colpito nel guardare la grandezza del cielo, poi è stato accompagnato da incontri, da rapporti con insegnati, persone e i miei stessi genitori che hanno saputo prendere seriamente quel punto di interesse che stava nascendo in me. I rapporti mantengono ampio l’orizzonte della ricerca".
La tecnologia ha fatto grandi progressi. E’ cambiato tanto il modo di lavorare di un astrofisico?
"E’ cambiato parecchio, soprattutto per le conseguenze che lo sviluppo tecnologico ha portato. Siamo in grado di sviluppare strumenti di una complessità che era inconcepibile 30-40 anni fa, questo comporta che le imprese scientifiche vengano portate avanti da grandi collaborazioni, grandi gruppi. Questo modifica ciò che in ogni lavoro è la cosa più importante, le relazioni tra le persone. Le nuove sfide sono più affascinanti".
A proposito di sfide affascinanti, lei è presidente della Fondazione Sacro Cuore per l’educazione dei giovani: cosa manca al mondo dell’istruzione per avvicinare i giovani a questo tipo di studi? Strumenti? Stimoli?
"Penso che manchi un’ampiezza di sguardo che cerchi di comunicare una speranza di senso in tutte le cose. Un nesso tra le diverse discipline, tra tutti i diversi modi di incontrare la realtà: quest’ampiezza di sguardo non può che essere comunicata da un adulto che vive in sé un inizio di quest’ampiezza. Questo è l’unicum della scuola, che nessuna tecnologia potrà mai sostituire".
Quanto sono importanti serate come questa, dove c’è la possibilità di scambiarsi conoscenze, opinioni e passioni?
"Sono molto importanti, ho visto quello che il Sant’Anna ha fatto in questi giorni: mi sembra notevole come cosa, soprattutto il fatto che si tratti di un dialogo, di una condivisione. Non è solo una serie di lezioni e basta, mi pare che qui vi sia un mettersi in moto dei ragazzi che rende il tutto anche interessantissimo per chi come me ha qualche anno in più. Quindi complimenti".