Carolina Picchio è morta nel 2013, suicida, perché un gruppo di adolescenti come lei aveva diffuso sul web un video che offendeva profondamente la sua persona e la sua dignità. Prima di buttarsi dal terzo piano della sua casa di Novara, Carolina ha scritto una lettera in cui spiegava le ragioni del gesto.
E' la prima vittima di cyberbullismo ad aver denunciato, indirettamente, i suoi aguzzini, che sono stati condannati dal tribunale dei minori per reati gravissimi: violenza sessuale di gruppo, stalking, morte come conseguenza di altri reati. Paolo Picchio, il papà di Carolina, da quel giorno gira le scuole d'Italia per spiegare ai ragazzi cosa vuol dire morire di bullismo. E lo ha fatto anche a Torino, sabato 6 maggio al grattacielo di Intesa Sanpaolo nell'ambito dell'iniziativa del Corriere della sera "Il bello dell'Italia".
"Carolina è una ragazza vincente - ha detto il papà, Paolo - aveva vinto i regionali di salto in alto. Era molto ambita da tutti i ragazzi e aveva il classico filarino. Era forte. Invitata a una festa, la fecereo ubriacare e forse le diedero la pillola dello stupro. In cinque approfittarono di lei, con atti sessuali espliciti, ma non si rese conto di nulla, era incosciente".
"Dopo molto tempo - ha proseguito il padre - in rete comparve quel video e lei da ignara diventò consapevole. Arrivarono 2600 insulti in rete in dieci minuti, da 'Sei un verme a 'sei una puttana'. Lei non ha retto. Ma prima ha scritto una lettera. Ha avuto una forza incredibile. Grazie a lei abbiamo imbastito per la prima volta in Europa un processo per cyberbullismo. I colpevoli sono messi alla prova e saranno loro a dover raccontare alle scuole cosa hanno fatto. Se non si pentiranno, andranno in carcere".
"Se ho perso una figlia io - ha concluso - le sue parole spero abbiano un senso, per questo le porto nelle scuole. Non voglio che ci siano altre Caroline. I ragazzi devono pensare prima di postare, devono riprendere il colloquio tra loro. E speriamo che i progetti di legge sul cyberbullismo diventino legge. Ritengo che i ragazzi siano molto più sensibili di quello che i genitori pensino, ma i genitori sono sempre più assenti, oggi il colloquio non esiste più e sono i primi ad avere lo smartphone a tavola".
Ivano Zoppi, della onlus Pepita, da anni, insieme a Paolo Picchio, gira nelle scuole italiane per sensilibizzare gli adolescenti sul tema del cyberbullismo. Lavora sul tema anche attraverso una mostra fotografica, "Solo per te", che denuncia come da una semplice foto ammiccante una ragazza possa ridursi, se glielo chiede il suo lui, a farsi immortalare nuda, perdendo del tutto la propria dignità. "I ragazzi non hanno percezione delle conseguenze di quello che fanno - denuncia Zoppi - non sanno che tutto rimane in rete e ha sempre delle conseguenze".
"Esiste il fenomeno del vamping, i ragazzini si svegliano di notte a controllare il cellulare e poi c'è il sexting, scambio di immagini che hanno a che fare col sesso. E' questa l'anticamera del fenomeno. Quei filmati finiscono per essere divulgati e oggi in Italia un ragazzo su due ha fatto sexting e cominiciano a undici anni. Hanno il bisogno dei like. Ma fare sexting significa perdere la propria identità e buttare l'intimità. C'è da fare un percorso educativo e psicologico fino alla denuncia. Il mondo degli adulti si deve svegliare su questi temi e prendere in mano la responsabilità educativa. Bisogna dire ai ragazzi che sono opere d'arte uniche, originali e irripetibili".