A distanza di pochi giorni dall’approvazione all’unanimità della legge contro il cyberbullismo, nell’Arena Piemonte del Salone del Libro se ne è discusso stamattina, insieme ad esperti del settore. Presente la senatrice Elena Ferrara, nonché prima firmataria della legge, che ha voluto sottolineare come il tutto sia partito dal Piemonte. L’iter del disegno di legge è infatti iniziato a Novara dopo il suicidio della quattordicenne Carolina Picchio, violentata nel gennaio 2013 ad una festa da un gruppo di sei ragazzi che hanno filmato e poi messo in rete l’abuso.
La legge, racconta la senatrice Ferrara, non prevede il reato di cyberbullismo ma diverse fattispecie di reati come percosse, lesione personale, ingiuria, diffamazione, alterazione e manipolazione di dati illeciti e dell’identità.
Il tutto non mira a colpevolizzare ma alla consapevolezza del male che individui della stessa fascia d’età si stanno facendo l’un l’altro. Importante è il coinvolgimento di tutte le istituzioni, dalle forze di polizia alle autorità di garanzia fino ai diversi ministeri e al forum degli studenti. L’idea era quella di trovare una soluzione condivisa mirante alla prevenzione nelle scuole e nelle famiglie. Infine la senatrice ha concluso affermando orgogliosamente che questa legge è la prima in Europa in materia.
Per la Polizia Postale è intervenuto il direttore tecnico Giuseppe Zuffanti, il quale ha illustrato quelle che sono le caratteristiche dei comportamenti del cyberbullo e i vari reati che la legge persegue. La visione di un video realizzato dai ragazzi di un istituto scolastico, nel quale un ragazzo veniva preso di mira dai compagni di classe tramite dei messaggi denigratori e poi aiutato da una compagna, ha fatto capire che ognuno di noi può mettere fine al malessere dell’altro.
La raccomandazione finale di Zuffanti è stata quella di disconnettersi ogni tanto dalla realtà virtuale.
Marco Berry, inviato delle “Iene” per quindici anni, ha innanzitutto fatto i complimenti alle forze dell’ordine e poi ha reso più leggera la discussione interloquendo con un i ragazzi tra il pubblico su messaggi e social network. Il conduttore ha affermato che un pugno in faccia fa più male di una parola offensiva. Il primo il giorno dopo scompare il secondo resta più tempo nell’animo di una persona e non si nota. Non è stata un’ espressione che incitava violenza ma che voleva mostrare come il ferire con la parola è sottile e fa più male.
“Prevenzione” è stata la parola chiave dell’incontro, da fare a scuola, in casa e in ogni istituzione. Mettendo al centro di tutti i ragazzi, soprattutto in famiglia, si può combattere il fenomeno.