Eventi - 21 maggio 2017, 19:50

Saviano racconta Falcone al Salone Internazionale del libro di Torino

A due giorni dall’anniversario della strage di Capaci

Saviano racconta Falcone al Salone Internazionale del libro di Torino

La domenica è, come nella tradizione del Salone internazionale del libro, l’ultimo giorno di grande affollamento. E quest’anno non fa eccezione, anzi.

Una bella giornata fuori e un’ottima giornata dentro il Lingotto. Famiglie e visitatori di tutte le età girano per gli stand, curiosano tra le novità, acquistano libri e si mettono in fila per assistere alle presentazioni o guadagnare un autografo dei disegnatori italiani più noti, come  Zerocalcare e Leo Ortolani.

Tra i numerosi ospiti presenti oggi, spicca Roberto Saviano che, ovviamente, ha richiamato l’attenzione di curiosi, appassionati e giornalisti, per uno scattare di flash e uno stuolo di smartphone sollevati, da record.

La prima cosa che si nota è la sua solitudine. Sul palco con lui solo l’interprete di segni, nessun giornalista, nessuno scrittore con cui confrontarsi, solo una Sala Gialla gremita.

Quella di Saviano non è una presentazione ma più una lezione, una conferenza, un racconto.

Saviano racconta l’importanza della lettura per il cambiamento che produce. Lo stravolgimento della sua vita non è stato provocato direttamente dalle parole di “Gomorra”, ma dalla reazione che queste hanno causato nello spirito e nella coscienza dei lettori. È questa reazione che ha spaventato i camorristi. Ed è dal timore di questa reazione che sono nate le minacce.

Tra due giorni sarà l’anniversario della strage di Capaci, e così Saviano parla di Falcone, della sua preparazione, della sua bravura ma, soprattutto, dell’invidia che scatenò. Chi non era al suo livello lo invidiava, lo odiava, fino ad arrivare alla diffamazione.

Dopo il fallito attentato sotto casa sua, quando misero una borsa di tritolo che non scoppiò, tutto il paese, tutto, tranne qualche eccezione come il giudice Caselli, insinuò che quella fosse stata solo una sorta di mossa pubblicitaria. Un falso attentato, organizzato dallo stesso Falcone, per fare carriera. Le accuse continuarono e lo ferirono profondamente, fino a quando sbottò in una delle sue più celebri, vere e terribili frasi: “In questo paese bisogna essere ammazzati per essere credibili”.

“Se qualcuno mette una bomba sotto causa tua e questa non esplode. È colpa tua che non sei morto”, rincara la dose Saviano.

I sentimenti negativi che nutriva tutto il paese verso Falcone, convinsero la Mafia che non fosse necessario mantenere un basso profilo. Scelsero, dunque, un attentato spettacolare come quello di Capaci, non avendo paura di dare nell’occhio, non temendo l’eco internazionale. Il giudice era malvisto da molti, dopo il breve e inevitabile scalpore, tutto sarebbe tornato come prima. O almeno così credevano.

Ma così non  fu, il paese sorprendentemente reagì e si indignò. M fu davvero una sorpresa? Un risveglio di coscienza? No. Falcone era morto. Il sacrificio finale era compiuto. L’Italia passò dall’odio e la bile, all’amore e il rimpianto. “In questo paese bisogna essere ammazzati per essere credibili”.

Rossana Rotolo

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