L’anima della Fondazione Filadelfia è un uomo che per la rinascita della casa del Grande Torino sì è sempre battuto in prima fila. Nessuno più di lui oggi è felice e orgoglioso, ma Domenico ‘Mecu’ Beccaria, anche in un giorno di festa, non manda in soffitta la vis polemica che lo caratterizza.
Mecu, allora finalmente ci siamo. Il Filadelfia rinasce.
“Da uno a cento, sono carico 101. Io ho sempre creduto fortissimamente nella ricostruzione”.
Eppure non mi sembri un’ottimista di natura, di ostacoli da superare ce ne sono stati tantissimi…
“Il mio non era un atto di fede, ma l’ottimismo della ragione. La città non poteva non fare nulla e lasciare così quell’area, era una ferita aperta che si doveva rimarginare. E poi i cittadini, prima ancora che i tifosi granata. Anni fa con una petizione, questo quartiere che era Lingotto-Mercati Generali, è diventato Lingotto-Filadelfia. La volontà della gente tutta è stata fondamentale”.
E anche un po’ la tua testardaggine, su…
“Io sono stato sempre quello che rompeva le scatole ai politici, alle istituzioni, a tutti, perché volevo che si facesse qualcosa”.
Anche a chi dentro la Fondazione non è che si dannasse l’anima per la causa. Penso all’ex presidente Chiabrera.
“Non sai quante volte gli ho detto in faccia che ci stava facendo perdere tempo, che non c’era mai. Se alla fine se ne è andato forse è anche per merito mio, visto quante volte nelle riunioni l’ho fatto uscire, dicendogliene di tutti i colori. Da quando c’è Salvadori alla presidenza, tutta l’iniziativa ha avuto una marcia in più”.
Ha detto marcia, quella del 2013 è stata importantissima per smuovere molte cose.
“Il sottoscritto poteva continuare a dire e a fare, ma se poi gli vanno dietro dieci o venti persone… Quando ti accorgi che con me c’erano migliaia di tifosi granata, questo ha fatto la differenza. Prima della marcia pensavo: ‘speriamo di riuscire a coinvolgere un centinaio di persone’. Quando in piazza ne ho viste 10 mila di persone ho capito che così tanta gente non poteva essere ignorata”.
Tutto è bene quel che finisce bene, allora.
“Non è tutto oro ciò che luccica. C’è un però”.
Sputa il rospo.
“Oggi inauguriamo il primo lotto del nuovo Filadelfia, ma l’opera così resta monca, incompiuta. Bisogna finire tutto, il nuovo Fila deve ospitare il Museo granata. Altrimenti è come avere un Toro senza corna, anzi senza palle”.
Sulle cifre si sono dette molte cose Mecu, facciamo chiarezza una volta per tutte.
“Servono 1 milione e mezzo, al massimo due per completare il secondo lotto, 4,5-5 milioni per fare il terzo. Ed è qui che deve entrare in ballo la società”.
Cairo cosa deve fare?
“Semplicemente mantenere fede alle parole che aveva detto a suo tempo. Quando il Comune ha detto che per l’opera c’erano i 3,5 milioni famosi, ancora relativi alla vicenda Bennet e alla vecchia società, anche la Regione ha deciso di investire la stessa cifra. A quel punto Cairo disse: ‘Farò altrettanto anch’io’. Salvo poi rimangiarsi la parola e mettere un milione, quello della fondazione mamma Cairo. Con 2 milioni e mezzo in più non avremmo risolto tutti i problemi, ma saremmo stati decisamente più avanti”.
Magari, da grande comunicatore, il colpo di teatro se lo è tenuto in serbo per oggi.
“Ci credo poco. La mia impressione è che non cambierà nulla, anche adesso che c’è il Fila. Cairo resta l’azionista unico del Torino FC, non è e non sarà mai il presidente del Toro. Lui non ragiona con il cuore, non lo ha mai fatto in tutti questi anni”.