Come si fa a spiegare a un cieco i colori intensi di un tramonto infuocato, con le nuvole che si rincorrono, basse all'orizzonte, e la luce che rimbalza sui loro poderosi dorsi, ritornando indietro alla sua fonte naturale?
Come si fa a spiegare a un sordo la magia delle note rapide e sfuggenti della “toccata e fuga in re minore” di Johann Sebastian Bach, che si rincorrono impetuose fuori dalle canne dell’organo e mettono a dura prova le allenate dita del musicista che si cimenta con il capolavoro del Maestro di Eisenach?
Come si fa a spiegare a un imprenditore che, sa Dio per qual motivo, ha deciso una dozzina d'anni fa di acquistare una squadra di calcio, che squadra non è, ma ben di più, essendo per tutti, meno che per lui, leggenda, che non la può trattare come una qualsiasi delle sue aziende, guardando solo con l'occhio del profitto e non con quello del Cuore?
Boh, onestamente non lo so, ma ci provo ugualmente.
Ci sono momenti, nella vita, in cui nostro malgrado, ci ritroviamo in situazioni che vanno ben al di la delle nostre intenzioni, della nostra volontà, quando il destino sembra avercela proprio con noi, crudele e avverso. In quei momenti, basta un nonnulla per far pendere l'ago della bilancia da una parte piuttosto che dall'altra, relegandoci nell’oblio o facendoci assurgere a fama imperitura. Sono momenti che solitamente capitano una volta nella vita.
E poi c'è il Toro, come tutti noi chiamiamo affettuosamente la squadra di calcio del Torino, che nella sua vita di questi momenti ne ha vissuti sulla sua pelle più d'uno, rimanendone marchiato indelebilmente a fuoco e assumendone questa aura di leggenda che nessuno osa disconoscergli. Ebbene, se per qualche caso della vita ti ritrovi nella fortunata condizione di sedere sulla stessa poltrona che fu di Marone Cinzano, di Novo e di Pianelli, non puoi far finta di niente e comportarti come l’arricchito che s’è comprato la Longobarda per scaricare un po' di tasse e fare il figo con gli amici. Mai come in questo caso la celeberrima frase francese “noblesse oblige” calza a pennello. Ci sono degli obblighi comportamentali inderogabili, la cui inosservanza comporta cadute di stile che saltano all'occhio come una macchia di pomodoro su una camicia bianca, esponendo al ridicolo il malcapitato. E se lo scivolone, per la carità, ci può stare, ma andarsi a cercare certe situazioni è quanto mai inopportuno.
Per venire a noi, trattare la Fondazione Filadelfia, di cui tra l'altro sei socio fondatore e componente del consiglio d'amministrazione, come uno qualsiasi dei fornitori delle tue aziende, cui strizzare fino all'ultimo centesimo di sconto, all'ultimo giorno di dilazione di pagamento, all'ultimo punto di percentYale di interesse, non è il modo migliore di rendersi simpatico e di vestire con eleganza e classe lo scomodo abito di Presidente.
Bisogna anche saper guardare oltre il vantaggio immediato, la misera monetizzazione, l’effimero guadagno. Ci sono valori, come il rispetto e l'affetto dei tifosi, che non sono sul mercato, specie per quelli che non hanno la predisposizione a vendersi ed adulare il miglior offerente. Questi valori si guadagnano sul campo, giorno dopo giorno, dimostrando il proprio spessore morale con gesti tangibili e coraggiosi, come il mai abbastanza compianto e rimpianto don Aldo Rabino ci insegnava, con l'esempio personale di vita e di opere, ogni giorno.
Ecco, qui sta la differenza tra essere l’azionista unico del Torino FC S.p.A. e diventare finalmente il Presidente del Toro. Percorrere questo breve cammino ed entrare a buon diritto nel cuore della gente granata e nella Storia del Toro, dipende solo da lui, Urbano Cairo. Quale occasione migliore di questa, la firma del contratto per il Fila e il suo impegno per una rinascita vera e completa, ha davanti a se? Coglierla è un attimo, di quelli che passano una volta nella vita e che fanno pendere di qua o di la l’ago della bilancia. Ma che glielo sto a dire?