Una volta era industria, adesso è spazio vivo, in continuo mutamento. Da capannone abbandonato alla mercé della dimenticanza, lo Spazio MRF di corso Settembrini ha ritrovato la vita, guadagnandosi a pieno titolo la dignità di fabbrica di cultura. Un luogo in cui si intrecciavano, negli anni del boom economico, speranze e fatiche di uomini comuni, tutti lì, stipati gli uni addosso agli altri, palpitanti e cosparsi di sudore. E che adesso avvolge in un abbraccio i sognatori nostalgici che ancora amano farsi raccontare una storia.
Oggi l'umanità brulicante che anima questo cuore d'acciaio è figlia di un tempo rinnovato. Gode di un presente in cui la forza rapsodica della narrazione può trasformare lo scheletro di un fabbricato in una nicchia ancora più accogliente di un teatro. Se poi si uniscono il carisma intellettuale di Alessandro Baricco, la musica ipnotica di Francesco Bianconi e un eccellente lavoro di regia, ecco che il risultato spezza i confini dell'emotività cosciente per travalicare il campo sterminato dell'estasi.
Dopo il successo dell'evento “off” realizzato durante il Salone del Libro, la lettura partecipata di Furore di Steinbeck ha nuovamente attirato il popolo torinese nell'estrema periferia della città, sconosciuta a tanti abitanti provenienti da zone lontane. Un progetto realizzato grazie a Torino Nuova Economia – Tne, che rappresenta il culmine di un percorso di riqualificazione puntuale e costante.
“La rigenerazione dello Spazio MRF non è un risultato ripetibile in ogni contesto, ma testimonia di un modus operandi che unisce molti operatori culturali, da analizzare ed estendere nelle aree del nostro Paese. La valorizzazione del territorio passa sempre di più dalla capacità di raccontare scenari futuribili attraverso forme artistiche, oniriche, immaginifiche, che possono diventare realtà grazie al coinvolgimento attivo dei soggetti di un territorio”, ha spiegato Stefano Di Polito, regista di Mirafiori Lunapark, girato all'interno dello spazio nel 2014, e responsabile artistico di MRF.
Così Baricco è tornato alle sue letture televisive a tu per tu con il pubblico, come faceva diversi anni fa. “Questa sera daremo un nome a ciò che passa nella testa e nel cuore degli uomini quando si trovano in una condizione di grave emergenza”, ha dichiarato a inizio serata, davanti a centinata di persone in piedi. Protagonista del romanzo è la famiglia Joad, durante lla grande depressione degli anni Trenta, costretta dalla fame e dalla miseria ad abbandonare l'Oklahoma per tentare la fortuna in California, tanto agognata come la meta dei sogni. “Il dramma vissuto da quei migranti lo rivediamo oggi in un contesto analogo, ma non dobbiamo pensare di essere impreparati di fronte a questo. Abbiamo una grande eredità di sapere tramandataci dai padri, cui attingere per non dimenticare ciò che è stato”.
E così la narrazione prende il via proprio in un luogo, Mirafiori, che a sua volta è stato desiderato come terra promessa da tutti coloro che lasciavano il meridione per cercare lavoro al nord. Baricco si sofferma sui dettagli, fa respirare, riga dopo riga, la polvere della siccità, il silenzio assordante del deserto, il vuoto di uno stomaco che non mangia da giorni, l'odore della paura quando la natura si rivolta contro l'umanità indifesa. “Sono stranieri”, dicevano i californiani guardando i nuovi arrivati, considerati invasori, barbari, maniaci sessuali, ladri, degenerati e ladri. Ma, a fine romanzo, dopo drammatiche disavventure dai toni biblici, apocalittici, ecco che torna la luce, presagio di un'effimera ma vitale speranza. "Leggere un libro è un'esperienza generalmente solitaria, ma questo è un rito collettivo in cui la storia si appoggia su tutti diventando energia", spiega Baricco, mentre la sacralità laica di quel luogo di fatica si staglia nel tramonto di una giornata di lavoro che fa da preludio a un'alba universalmente condivisa.












