Alla luce del referendum consultivo tenutosi da poco in Veneto e in Lombardia è divenuta di attualità la richiesta di una maggiore autonomia politica, economica e fiscale da parte delle Regioni.
Si chiede di occuparsi di 23 nuove materie nelle quali Stato e Regioni oggi sono concorrenti (Vedi rapporti con l’Unione Europea, coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, istruzione, commercio, governo del territorio, grandi reti di trasporto e navigazione, protezione civile, casse di risparmio, aziende di credito, casse rurali ecc.), nonché delle materie di esclusiva competenza dello Stato, per le quali le Regioni possono chiedere maggiori competenze (Vedi norme generali sull’istruzione, organizzazione dei giudici di pace, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali).
Ma bisogna avere ben chiaro che per ogni nuova competenza trasferita alle Regioni che chiedono maggiore autonomia deve corrispondere l’assegnazione da parte dello Stato delle risorse necessarie a gestirle, come dispone la legge sul federalismo fiscale del 2009, che riconduce agli articoli 116 e seguenti della Costituzione, nonché all’applicazione della riforma del Titolo V della Carta costituzionale in materia di autonomia regionale, voluta, peraltro, da un governo di centrosinistra. In buona sostanza, cambierebbe solo chi gestisce le materie aggiuntive. La qualità della spesa potrebbe essere migliore, ma i cittadini non pagheranno meno tasse.
In questo quadro, si ignora il problema di fondo. Purtroppo, la storia del regionalismo non ci racconta di 19 Regioni e di 2 Province autonome che abbiano saputo gestirsi in maniera soddisfacente, anzi hanno manifestato spesso sul piano politico, che è primario, le incapacità, le nefandezze, le inefficienze del centralismo parlamentare, con quel che ne à conseguito. Premessa la questione della classe dirigente ad ogni livello, che viene su come viene …., non si può inneggiare ora al centralismo regionale (perché con questo abbiamo a che fare), senza affrontare il problema di come si deve ristrutturare il territorio (ruolo delle Province e dei Comuni), articolare la Regione per le tante funzioni di competenza, riordinare la Sanità (così continuando la Regione è destinata a diventare quasi interamente una grande A.S.L).
Così come stanno le realtà davvero pensiamo che l’autonomia regionale sia la soluzione politica e istituzionale per tutto? Prioritariamente c’è sempre la questione di fondo della crisi dello Stato nazionale che deve essere rinnovato. Un secolo fa il centralismo di Giolitti rinsaldava il potere, poi il centralismo di Mussolini aveva la finalità di decidere ed intervenire, fino al centralismo recente di Amato, Prodi e Monti che ha avuto come scopo quello di fare cassa. Per il futuro non possiamo certo affidarci alle conclusioni del Centro Studi dell’Istituto Bruno Leoni annunciate il 27 ottobre scorso: "In un sistema federale, le regioni si farebbero concorrenza proprio sulle politiche e magari imparerebbero le une da quanto di buono fanno le altre. Per carità , non sarebbe un processo d’apprendimento né immediato né indolore. Ma visti gli insuccessi di oltre 150 anni di centralismo, cosa abbiamo da perdere?".
Come dire, governiamo l’Italia per tentativi.





