Complici le altalenanti prestazioni del Toro e le arrabbiature legate al Filadelfia, ma non solo, nel mio stomaco si è col tempo formata una bell'ulcera di più di tre centimetri, che mi fa dannare oltre misura. Ovviamente, per monitorare i progressi delle cure, piuttosto che dell’ulcera, l'unico modo è di fare delle gastroscopie periodiche. E qui inizia un’Odissea che poco ha da invidiare a quella di Ulisse, se non il cantore. Cercherò quindi, visto che oltre che protagonista, sono anche cronista, di essere più possibile preciso e imparziale, visto che non ho speranza di assurgere alle vette liriche di Omero.
Martedi 13 febbraio: parto su tre fronti contemporaneamente. Telefono al CUP, telefono al Mauriziano, telefono al Maria Vittoria. Inizio ovviamente col CUP, che in teoria dovrebbe servire tutti glì ospedali, visto questo pomposo e pretenzioso Unico che sta al centro dell'acronimo, che mi dice che serve solo più le aziende ospedaliere Molinette e Regina Margherita-Sant'Anna. Per le altre bisogna rivolgersi ai singoli presidi. Il risponditore automatico, che di parlare con un essere vivente non c'è speranza, mi fa districare tra un po' di opzioni salvo inevitabilmente finire sul “tutti gli operatori sono occupati, riprovare più tardi” e far cadere la linea. Vabbè. Proviamo col Maria Vittoria. Il reparto mi risponde subito ma solo per dirmi che non esistono prenotazioni telefoniche; bisogna recarsi di persona in via Pacchiotti 4, dalle 8:30 alle 14:30. Faccio una scappata alle 14, perché ormai si era fatta quell'ora, e prendo il numero. Ne ho solo cinquanta davanti e in mezz'ora i due sportelli aperti ne hanno serviti dieci.
Desisto, pensando di riprovare la mattina successiva.
Nel frattempo avevo un appuntamento ad Asti ed approfitto del viva voce per chiamare in tutta sicurezza il Mauriziano. Il call center di questa azienda mi tiene compagnia per buona parte del viaggio di andata, dicendomi che per alcune prestazioni si deve digitare 1 o 2 o 3 eccetera, ma per la gastroscopia ed altre cose, bisogna attendere di parlare con un operatore. Bene, mi dico, finalmente si parla con un umano. Peccato che dopo sei minuti esatti di attesa con monotona e snervante musichetta di sottofondo, inevitabilmente la linea cada senza spiegazioni. Mi dò pace e spero nella buona sorte il giorno seguente.
Mercoledì 14 febbraio: attorno alle otto e trenta sono in via Pacchiotti, dove prendo il numero: siamo in tripla cifra, come si evince dal disarmante “102” che campeggia al centro del foglietto. Intuisco che sarà una lunga mattinata, ma nemmeno le più fosche previsioni potevano farmi pensare alla realtà che mi stava attendendo. A metà mattina i terminali si bloccano per oltre un'ora e solo alle 13:30, ovvero cinque ore dopo aver iniziato la coda, tocca finalmente a me. Mostro l'impegnativa all' impiegata che dopo alcuni tentativi mi dice che la mia dottoressa ha scritto “entro dieci giorni” ma che non avendo disponibilità entro tale termine, l’impegnativa non è utilizzabile e quindi devo tornare da lei, farmi fare una impegnativa senza urgenza, e tornare a prenotare. Mi fa però notare che, per il Maria Vittoria, il primo posto libero è per il 10 aprile o giù di lì. Salvo andare di persona in ospedale e vedere se per caso hanno un posto prioritario, riservato ad urgenze tipo la mia, rimasto libero. Diversamente di tornare da lei lunedì mattina, quando avrà i posti prioritari per la settimana, ma presto, che se uno non passa tra i primi non ne trova più. E comunque, non necessariamente al Maria Vittoria, dove ne avevo già fatta una e mi ero trovato benissimo, ma dove capita. Oppure, provare al Gradenigo o in altri posti. Una sorta di pellegrinaggio in giro per aziende ospedaliere alla ricerca del mitico ed introvabile Graal, rappresentato da una prestazione sanitaria indispensabile ed urgente.
Una ulteriore telefonata al Maria Vittoria materializza ben due brutte notizie in un sol colpo. La prima è che l’informazione data dall’impiegata di via Pacchiotti è inesatta, perché non accettano alcun tipo di prenotazioni e la seconda è che comunque non hanno posti prioritari. Non resta che ritentare al Mauriziano, ma il giorno successivo, che ormai anche questa giornata se n’è andata inutilmente.
Giovedì 15 febbraio: sveglia di buonora ed arrivo al Mauriziano alle sette e mezza, con mezz'ora di anticipo sull'apertura, sperando che basti per evitare code spettacolari. In effetti qui le cose vanno molto meglio. Undici persone davanti e alle 8:12, ovvero dodici minuti dopo l'orario di apertura delle prenotazioni, tocca a me. Il vento è girato, e alla grande anche. Pochi numeri prima di me, c'è stata una disdetta e il posto è stato inserito nelle priorità. Quando mi dice giovedì 22 febbraio alle dieci e trenta, mi par di sognare. Mi chiedo, senza questa spropositata botta di fortuna, però, come sarebbe andata a finire. Vabbè, non indaghiamo oltre e incassiamo la prenotazione a stretto giro di posta. Rimangono però alcune considerazioni da fare, riguardo a questo sistema sanitario che tutto pare essere, fuorché un sistema nel senso letterale della parola, ovvero una connessione di elementi in un tutto organico e funzionalmente unitario.
Insomma, se nel cuore dell'Africa di un tempo si usava andare nella piazza del villaggio, sedersi sotto la pianta all'ombra ed attendere che lo stregone arrivasse e, bontà sua, dispensasse cure ed oracoli, rimedi e pozioni, nel Piemonte del 2018 lo scenario non si discosta di molto. Qui non c'è la pianta ed al posto del pollo o del capretto da lasciare in dono allo stregone, si pagano salati ticket, che di polli o capretti ne comprerebbero interi greggi, ma rimane il concetto della confusione, del pressappochismo, della disomogeneità di servizio proposta, che regnano sovrane, alla faccia dell’informatizzazione, degli acronimi altisonanti, dell'uso della lingua inglese per dare lustro a sistemi che fanno acqua da tutte le parti, della pretesa disattesa di dare uniformità di prestazioni per migliorare il servizio ai cittadini, che “rari nantes in gurgite vasto”, ovvero in pochi riescono a stare a galla nel mostruoso gorgo che li inghiotte, giusto per rimanere ai classici, anche se con Virgilio al posto di Omero.
Iniziamo dunque a porci qualche domanda: ma se il sistema sanitario poggia su un coordinamento regionale, perché mai un'azienda ospedaliera può decidere di entrare o uscire dal CUP a suo piacimento, come appunto fatto da San Giovanni Bosco-Maria Vittoria, dalla data del 16 ottobre 2017? Non dovrebbero esserci delle regole, o almeno delle linee guida comuni e valide per tutti? I manager di queste aziende, si confrontano tra di loro e soprattutto con l'assessore alla Sanità per esprimere queste problematiche, analizzarle e risolverle, oppure “ognuno per se e Dio per tutti” e nulla per i cittadini, aggiungerei io?
Il dubbio che viene, e si badi bene, parlo di dubbio e nulla più e con la speranza di essere rassicurato del contrario, è che nella migliore delle ipotesi assessori e manager abbiano una seria assicurazione sanitaria che consente loro di fruire della ben organizzata e celere assistenza sanitaria privata, nella peggiore che beneficino di “corsie preferenziali” che consentano di saltare code e problematiche varie in tutta scioltezza. Penso che questa mia percezione sia comune a molti cittadini e a fronte di ciò, viene la seconda domanda.
Perché mai, il quattro marzo dovremmo legittimare con la nostra presenza ai seggi, con le nostre schede nell’urna, una classe politica nelle migliori delle ipotesi incapace ed arruffona, e non lo dico io, ma la miriade di situazioni denunciate in diverse sedi da cittadini risucchiati e stritolati negli ingranaggi del Moloch burocratico e nella peggiore, e non lo dico io ma le sentenze di diversi tribunali, corrotta e truffaldina? I provvedimenti d'emergenza per salvare certe banche o per consentire a certe aziende che producono reddito in Italia e beneficiano di tutto il beneficiabile come ammortizzatori sociali, incentivi e sovvenzioni varie, di trasferire libri contabili e sede legale all'estero e in quelle nazioni pagarci le tasse, si fanno in un batter d'occhio. Le soluzioni per i poveri cittadini che chiedono solo di poter avere quello che è nel loro diritto, slittano sine die, salvo venire dissotterrate e riproposte in periodo pre elettorale e per tornare nel cassetto appena chiuse le urne e fino alla consultazione successiva.
Personalmente, credo che il quattro marzo andrò a pescare. Non so voi.