“Chi sono io?”: da questa domanda, tanto semplice quanto profonda, prende le mosse il nuovo lavoro editoriale della scrittrice e giornalista Concita De Gregorio, la quale ha presentato il testo ieri, in Sala Azzurra, nel corso della prima giornata della 31° edizione del Salone Internazionale del Libro.
Al centro, la rappresentazione di sé, indagata attraverso il particolare linguaggio della fotografia femminile. “L’agenda occulta di questa storia – ha spiegato l’autrice – è il grandissimo tema della reputazione, della distanza che intercorre tra questa e l’identità e di quanto la dittatura impartita dalla prima stia mettendo in difficoltà la seconda, soprattutto nel caso delle nuove generazioni”.
Generazioni dominate dall’ossessione per i selfie, emblema dello sguardo e della percezione di sé affidata a terzi e posta sul mercato. “Nel mondo dei device – ha continuato la De Gregorio – la nostra identità è messa al servizio di una platea anonima e fantasma, per aumentare la nostra popolarità: non si sa a chi vogliamo piacere e, pertanto, ne deriva che si possa procedere solo per similitudine, assomigliando a qualcuno che piace già. Tale processo, ovviamente, conduce a una progressiva omologazione, per cui il cambiamento si ha nel momento in cui si guarda dentro di sé offrendo ciò che di diverso si possiede rispetto agli altri”.
Tracciando, dunque, una distinzione tra selfie e autoritratto – il primo legato alla reputazione, il secondo relativo all’identità –, Concita De Gregorio ripercorre le storie delle grandi protagoniste della fotografia femminile – tra cui Francesca Woodman, Wanda Wulz, Dora Maar –, interrogando anche cinque giovani fotografe italiane che operano nell’ambito dell’autorappresentazione.
Infatti, “chi fotografa se stessa lo fa per scoprire qualcosa di sé, per costruire la propria identità”, ha precisato l’autrice. “Chi sono io: al momento, mancano il senso ma, soprattutto, il desiderio di scoprirlo, e proprio la perdita di quest’ultimo caratterizza il mondo attuale”.
“La ricerca dell’identità, dunque – ha concluso la De Gregorio –, è un processo sostanzialmente privato, che ognuno deve compiere per sé e in totale autonomia, se pur in modi differenti. L’esibizione, al contrario, vuole suscitare il consenso, camuffando l’identità per offrirne una al pubblico che sia diversa da quella che realmente è, sottoponendoci a un tribunale permanente”.