Presidente dell'organizzazione unionista Consiglio della Nazione 2, fondatore del Forum Democratico dei Romeni in Moldavia, membro ad honorem dell'Accademia Romena, Moldava ed Europea; scrittore, poeta, storico e giornalista - Nicolae Dabija è stato a Torino per presentare l'edizione italiana del libro "Compito per domani", ed. Graphe.it, agosto 2018 e per partecipare al festival culturale "Armonie autunnali" organizzato dalla comunità romena e moldava risiedente nel capoluogo piemontese.
Questa l'intervista esclusiva realizzata da Irina Niculescu e con le immagini di Mihai Bursuc.
Prof. Dabija, lei è venuto a Torino per promuovere il romanzo ormai di fama mondiale "Compito per domani". Ma non è in Italia per la prima volta con le sue opere. Ha già partecipato al Festival di Poesia di Trieste nel 2014, dove ha ricevuto il "Grande Premio". E poi nel 2015 è stato a Recanati al Centro Mondiale della Poesia, anche lì insignito con il Premio Giacomo Leopardi.
Ho ricevuto anche il premio per la poesia Umberto Mastroiani a Fontana a Liri sempre nel 2015. Vorrei raccontarvi una cosa che si conosce poco: una mia poesia è scolpita a Cervara, a Roma, nella piazza centrale della città una mia poesia si trova insieme a quelle di Petrarca, di Umberto Saba e di altri grandi poeti. E credo che l'Italia sia molto vicina a noi e alla nostra cultura. L'evento culturale che si è tenuto a Torino io lo paragonerei con un ponte di Apollodoro di altre dimensioni, un ponte culturale che si costruisce oggigiorno. E pensavo anche al vostro libro che avete scritto tu Irina Niculescu e Marian Mocanu, Come Fratelli, è un ponte culturale lanciato fra romeni e italiani. Ci ho letto interviste importanti e credo che il volume dovrebbe essere tradotto anche in lingua romena. La cosa importante è che noi dobbiamo riconoscere le dimensioni delle culture romena e italiana e dobbiamo convincerci un'altra volta che l'Europa culturale non ha frontiere. Da noi si dice che la politica divide, però la cultura unisce. Mi sono convinto questi giorni a Torino che esistono ponti culturali che resistono al tempo. Per esempio, ho trovato il bassorilievo di Mihai Eminescu a Recanati, nel palazzo di Giacomo Leopardi. Così come ho trovato Dante a Chișinău. Noi abbiamo il liceo Dante dove si studia l'italiano. Così come ho trovato Pirandello nei teatri di Chișinău. Oppure Boccaccio! Ecco, queste personalità culturali ci avvicinano e ribadisco che siamo una famiglia culturale e il vostro libro è un mattone dentro questo ponte di Apollodoro culturale contemporaneo.
Tornando a "Compito per domani", un libro scritto nel 2007, appena uscito in Italia con Graphe.it, nella traduzione di Olga Irimciuc - in quante lingue è già stato tradotto?
Ha conosciuto diverse edizioni. E' uscito in America nella serie Love Story con una tiratura grande di 100 000 esemplari. Due edizioni in Francia dove ha ricevuto anche un premio "Prix de l'Autre Edition". E' stato tradotto in tedesco, bulgaro, russo, macedone. Adesso lo stanno traducendo in cinese, portoghese e spagnolo. Penso che questi giorni stia per uscire in Ungheria a Budapest. Io sono molto contento che questo romanzo piaccia al lettore di altre lingue. Ero convinto che fosse un libro sulle nostre realtà, con una storia d'amore sullo sfondo delle deportazioni dei Bessarabi in Siberia. Quello che piace anche ai lettori stranieri è questo sentimento di amore che vince l'inferno. Adesso siamo arrivati anche in Italia. E sono contento che i nostri Bessarabi comprino il libro per regalarlo agli amici italiani e questo è molto importante.
Lei parla di "Bessarabi". Nicolae Dabija arriva dalla Moldavia, però il protagonista Mihai Ulmu arrivava dalla Bessarabia. Ci spiega le differenze per il lettore italiano?
Bessarabia è sinonimo di Republica Moldavia, però la Moldavia è costituita solo da una parte della Bessarabia. Perché Bessarabia comprende il territorio fra i fiumi Prut e Nistro, dal mare fino alle montagne, fino alla Bucovina e oltre. Cioè parliamo della Moldavia storica. Bessarabia è una nozione più ampia e fino al 1940 era chiamata Bessarabia ed era una provincia romena. Nel 1940 quelli che ci "hanno liberato" ci hanno tolto il sud e il nord della Bessarabia e l'hanno regalato all'Ucraina e, sul territorio rimanente, hanno creato la Repubblica Sovietica e Socialista Moldava. Perciò, per noi, questo territorio intero si chiama Bessarabia. la Repubblica di Moldavia ne costituisce solo una parte.
In Italia si conosce ancora poco sulla Repubblica di Moldavia, sovente viene confusa anche con la regione moldava della Romania.
Quando ero a Trieste e ho ricevuto il Grande Premio della poesia, sono stato invitato in una trasmissione TV sulla rete triestina e mi hanno domandato: "perché in Repubblica di Moldavia si scrive in lingua romena?" Ho risposto che la Moldavia è un pezzo di Romania staccato dalla patria in seguito al patto Molotov-Ribbentrop. Poi, attorno a questa affermazione è partito tutto il nostro dibattito, perché gli italiani non sanno cos'è questo patto e cosa fosse successo al territorio moldavo. Come mai si parla la lingua romena anche sull'altra sponda del Prut? Perché la nostra cultura è romena? Nella trasmissione abbiamo parlato anche di Ovidio, sul quale si dice che fu esiliato alla Cittadella Bianca (Moncastro n.r.) nel sud della Bessarabia, Miron Costin scrisse di questo prima che si parlasse di Tomis. Non so se lo sapete, ma il nome del fiume Nistro viene dalla parola "ginestra", un fiore che si chiama così in italiano e cresce in abbondanza sulle rive del Nistro. I genovesi che hanno costruito le cittadelle sul fiume, una a Soroca, l'altra Moncastro, ecco che hanno ribattezzato il Nistro, che fino a loro si chiamava Tiras. Gli italiani dovrebbero sapere che il fiume più importante dei Bessarabi ha un nome italiano.
Il grande Nicolae Iorga, in un discorso memorabile del 1927 alla Camera di Commercio di Milano aveva affermato che "la Bessarabia è la frontiera della latinità". Nel suo libro il latino ritorna in mezzo ai detenuti del lager in Siberia, Mandelstam cerca conoscitori di latino per fare conversazione.
Si tratta di Osim Mandelstam, un poeta russo di origine ebrea, che ha sofferto perché ha scritto delle poesie che non sono piaciute a Stalin. Però è un personaggio emblematico della cultura russa, che fu anche essa decimata, esiliata nei lager. Io ho voluto simboleggiare questo autore che ha sofferto molto. E vorrei aggiungere per gli italiani: la rivoluzione russa del 1917 fu orientata contro gli intellettuali. Andavano decapitati, così ha affermato Lenin, perché le masse di gente potevano essere manovrate più facilmente senza gli intellettuali.
Difatti, lei ha dedicato il"Compito per domani" agli intellettuali bessarabi di tutti i tempi...
Sì, tutte le persone che avevano studi superiori, liceali, tutti furono deportati. Salvo quelli che hanno accettato di collaborare con il nuovo ordine. Purtroppo, lo dico con rammarico. Però quelli che hanno collaborato erano pochi, i restanti furono decapitati. Tutti miei parenti sacerdoti o intellettuali sono morti in Siberia, non sono mai tornati. Furono esiliati vicino al Polo Nord, io ho avuto fortuna di nascere in Bessarabia e mia mamma si era sposata con un invalido di guerra dell'armata sovietica. Era stato mobilizzato con la forza e tornò dal fronte senza una gamba. Mia mamma era sulle liste di deportazione, però si sono salvati grazie all'invalidità di mio padre. Altrimenti sarei nato da qualche parte al Polo Nord.
Una storia frequente in tante famiglie della Bessarabia. Ci dica, come è nato questo romanzo?
Allora, in quanto poeta e storico, non ho mai pensato di scrivere prosa. Però, nel 2007 ho subito un incidente, sono caduto da una roccia dall'altezza di 9 metri. Da noi dicono che prima di morire l'uomo vede il film della vita concentrato in pochi secondi. E lì, sul fondo del burrone, io ho visto altro. Ebbene, ho visto questo romanzo. Ho visto i personaggi che provavano ad aiutarmi. E durante la degenza in ospedale, circa 3 mesi, ho decifrato quello che mi è stato rivelato. Quando sono uscito dall'ospedale sapevo il romanzo a memoria. Perciò il romanzo è una descrizione di quello che mi è stato rivelato. Io non ho inventato, bensì descritto. Per questo motivo, molti dicono che sembra piuttosto uno scenario cinematografico. Questa è la storia del romanzo. Ho avuto subito il sentimento che fosse un buon lavoro, però non ho mai immaginato di arrivare alla decima edizione nella Repubblica di Moldavia. Attraverso questo romanzo intendo riabilitare l'intellettuale perseguitato dalla Bessarabia che ha sofferto per la sua dignità. E sono contento che sia letto spesso dagli studenti, che incontro nei licei, per loro è una lezione di storia.
Un "Compito per domani", come un compito per le generazioni future. A un certo punto nel libro lei descrive il mosaico dei detenuti dei lager sovietici - varie razze, religioni e classi sociali. E suo personaggio Mandelstam lo definisce "la coscienza dell'Europa". Perché?
Vorrei sottolineare ancora una volta che nei lager siberiani ai tempi di Stalin erano rinchiusi i più valorosi e importanti intellettuali, non solo russi, ma anche esponenti di tutti gli altri popoli che abitavano in quel periodo in URSS. Gli intellettuali sono stati isolati nei lager. Una parte fu espulsa negli anni intorno al 1921. Ma quelli rimasti erano dentro i lager. Di questo parla anche il destino di Osim Mandelstam. Nel URSS la classe degli intellettuali era considerata parassitaria, non produceva beni materiali, perciò era disprezzata.
Adesso siamo nel 2018, l'anno del centenario dell'unità romena, la fine della grande guerra, lei è stato con noi a Torino. Cosa si sa oggi in Europa di questi intellettuali?
Sfortunatamente si sa poco. A Parigi, quando sono stato insignito del Premio per questo romanzo, il presidente dell'Associazione degli Scrittori Francesi ha sollecitato: "Parlo agli autori dell'est, non imitate la prosa francese, perché contiene solo parole; voi avete un'esperienza unica - il comunismo." Io penso che si dovrebbe parlare di più di questi popoli dell'est, dell'ex URSS, anche della Romania. Dove, tra l'altro, abbiamo parlato di alcune realtà che non piacono, sopratutto a quelli che vorrebbero parlare solo di cose belle. Però dobbiamo anche affrontare discorsi drammatici, ma reali, che abbiamo vissuto. Per esempio, non si conosce ancora che vicino ai monti Ural c'era un lager, Ivdel, dove furono fucilati 22 000 Bessarabi - sacerdoti, sindaci, scrittori, medici, ingegneri. A Katyn tutto il mondo sa quello che è successo, invece a Ivdel no! Ho menzionato ripetutamente alla stampa, agli ex presidenti della Moldavia, di fare almeno una placca commemorativa sui 22 000 Bessarabi fucilati nella regione Saratov. Anche se non ci piace parlare della nostra storia drammatica, dobbiamo assumercela comunque.
In chiusura, desidera trasmettere qualcosa a suo pubblico italiano?
Dalle nostri parti dicono che tutte le strade portano a Roma. Per noi Italia è un simbolo del nostro passato comune, però anche del futuro, strettamente collegato della nostra adozione nella famiglia dei popoli europei. Considerando che i romeni sono felici in Italia, e gli italiani hanno un atteggiamento di fratellanza nei confronti dei romeni, si può affermare che i fili che ci uniscono non sono ancora spezzati. Vorrei che gli italiani contribuissero al cambiamento di mentalità dei romeni che lavorano in Italia. Noi siamo un popolo latino, nella ricerca di sè. Spero che, con l'aiuto dell'Italia e altri paesi latini, possiamo riconquistare il nostro posto nella famiglia dei popoli europei, un posto ottenuto con dignità. E questo libro ha la sua missione, il lettore si ritroverà dentro le sue pagine.