La narrativa di Primo Levi continua ad affascinare intere generazioni di lettori: non solo per il legame indissolubile alla deportazione e ai campi di sterminio nazisti, ma anche per la capacità di entrare in contatto con realtà è sentimenti molto diversi tra loro. La lezione del grande scrittore torinese è portata avanti dal Centro Studi Primo Levi, che questa mattina ha incontrato il pubblico del Salone del Libro.
Ad analizzare le principali opere di Primo Levi sono stati Domenico Scarpa e il professore di storia contemporanea Fabio Levi, autore del libro "Dialoghi", edito da Einaudi: "La sua grande capacità narrativa - ha dichiarato quest'ultimo - è derivata da un impulso irrefrenabile di sgravarsi, dalla necessità di buttare fuori tutto quello che aveva dentro per ragioni morali e dovere civico: questo è stato possibile solo trovando gli interlocutori giusti, tra cui gli studenti italiani e tedeschi nel dopoguerra".
A rendere ancora più radicata la sua scrittura è stata la costante umanizzazione delle esperienze vissute durante la guerra e, in particolar modo, ad Auschwitz: "Primo Levi - ha proseguito il professore - è stato portatore dei segreti dei lager: in "Sommersi e salvati", ad esempio, lui parla di innumerevoli personaggi mettendoli in relazione, costruendo una pluralità che i lettori vivono con stati d'animo diversi a seconda del momento in cui leggono il libro; gli spunti che ne vengono fuori sono utili nella vita quotidiana e nelle relazioni. Il contesto storico-politico non può mai essere trascurato, soprattutto pensando agli incontri con gli studenti durante gli anni di piombo".
Questi riferimenti sono utili anche per comprendere il presente, anche la stretta attualità legata al Salone: "Sono convinto - ha concluso Fabio Levi - che se fosse ancora in vita Primo sarebbe andato a dialogare allo stand dell'editore escluso, perché il dialogo è sempre più interessante e produttivo con chi è diverso da noi, anche se lo disprezzeremmo".