Una regione che - se si ragiona di Pil per abitante - non è più annoverabile tra quelle del Nord: si piazza a metà classifica, dietro Lazio e Toscana. Un triangolo industriale che ormai ha lasciato Torino all'esterno della combinazione Milano-Bologna-Treviso.
Un "record" ormai consolidato di regione più cassintegrata d'Italia per richieste di ore di CIG mentre Torino è la seconda provincia in assoluto. Il tutto mentre l'Italia arranca tra i Paesi produttori d'auto in Europa, trascinandosi dietro le performance di stabilimenti storici come Mirafiori e Maserati, crollate sa 218mila vetture prodotte nel 2006 a 21.181 nel 2019.
Spaventa anche la cifra di addetti automotive in tutto il Piemonte: da 107mila nel 2007 a 61.167 del 2018. Ecco perché la Vertenza Torino si trasferisce per due giorni in piazza Castello: giovedì 13 (a partire dalle 10.30) e venerdì 14, tra tavole rotonde, volantinaggi, dibattiti e momenti di convivialità e solidarietà con i cittadini. Dunque pizza e con brulé, ma anche una notte trascorsa in strada, con il supporto di un camper, perché le difficoltà e le sofferenze dei lavoratori possono essere visibili e tangibili a tutti.
"Non è usuale trovare le tre sigle sindacali metalmeccaniche unite, in questo periodo - ammette Luigi Paone, segretario generale di Uilm Torino -. Ma è la situazione che lo richiede. Siamo di fronte a una crisi che si era ritenuta come transitoria e che invece ci è costata solo a Torino 9000 posti di lavoro in dieci anni e grandi difficoltà strutturali. Ecco perché questo momento di difficoltà va governato e non subìto".
"Saranno due giorni di dialogo, di confronti e di proposte - aggiunge Edi Lazzi, segretario generale di Fiom Torino - per fare luce su una crisi che è effetto del calo della manifattura, dell'auto in particolare. Ma accanto ai numeri, vogliamo fare parlare le persone, uomini e donne in carne e ossa, che subiscono questa difficoltà sulla loro pelle".
"Non servono più gli strumenti tradizionali in attesa di una ripresa: è tutto il paradigma che sta cambiando, della mobilità e non solo. E vogliamo per quanto ci compete indicare una strada, con un documento unitario, fatto di cose concrete e non ideologiche".
"Vogliamo uscire dallo stereotipo del sindacato che sa solo lamentarsi, dando numero e dicendo che va tutto male - sottolinea Davide Provenzano, segretario di Fim Torino -. Tra le nostre proposte c'è il prolungamento della cassa integrazione: i casi più immediati, Lear ed Embraco, riguarderanno circa 1000 persone. E bisogna tenere queste persone e le loro competenze agganciate al sistema".
"Siamo in attesa dei famosi e annunciati fondi per Torino area di crisi complessa, ma chiediamo anche ai privati di tornare a investire, perché non bastano i soldi pubblici. E poi si deve lavorare su elementi che possano appoggiare la transizione verso l'elettrico: batterie, paline di ricarica e così via. Serve creare un'infrastruttura, anche commerciale, a sostegno".
Poi c'è l'aspetto formativo: "la città deve essere protagonista di questo cambiamento, non solo affidarsi ad altri. E ci sono le strutture come Politecnico e Università in grado di sostenere questo passo. Se Tesla va a Brandeburgo, in Germania, non ci spieghiamo perché anche il Piemonte non possa attrarre nuovi insediamenti, accanto alla difesa di eccellenze come aerospazio, meccatronica o cuscinetti a sfera".
"Stiamo offrendo una chiave di lettura - aggiunge Lazzi - con riferimenti chiari, a cominciare dalla necessità di produrre nuovi modelli di auto negli stabilimenti torinesi, con volumi che siano sufficienti a garantire la piena occupazione. Se si seguirà questa strada come sistema, allora Torino potrà uscire dal pantano".
Paure sono poi legate dalla situazione in Cina, con la carenza di forniture e il rischio di chiusura per almeno uno stabilimento in Europa (come ha detto Manley, ad di Fca, nei giorni scorsi). "Sono tutti preoccupati perché le merci non viaggiano più" dice Provenzano. E Lazzi aggiunge "non c'è stata comunicazione dettagliata, potrebbe non essere in Italia, di certo non ci candidiamo a essere noi. Ma gli stabilimenti non chiudono certo per il corona virus, piuttosto per errori e scelte manageriali".
"Il problema non è solo dell'auto o solo di FCA - dice Paone - ed è sbagliato concentrarsi solo su quello. Basti pensare al tessile, per citare un caso".