Va in scena questa sera, al Teatro Regio, alle 20, la prima del Nabucco di Giuseppe Verdi, capolavoro indiscusso del melodramma risorgimentale, che vedrà alternarsi sul palco, fino al 22 febbraio, Giovanni Meoni, Leo Nucci e Damiano Salerno.
Ştefan Pop e Robert Watson canteranno nel ruolo di Ismaele, Riccardo Zanellato e Rubén Amoretti in quella di Zaccaria, Enkelejda Shkosa e Agostina Smimmero, Fenena. Completano il cast: Romano Dal Zovo (il gran sacerdote di Belo), Enzo Peroni (Abdallo) e Sarah Baratta (Anna). Altro grande protagonista il Coro, a cui sono dedicate le pagine più belle e conosciute dell’opera, magistralmente istruito da Andrea Secchi, mentre sul podio, alla guida dell’Orchestra del Teatro Regio, ci sarà il maestro Donato Renzetti. Il nuovo allestimento, realizzato in coproduzione con il Teatro Massimo di Palermo, affida la regia ad Andrea Cigni, con scene di Dario Gessati, costumi di Tommaso Lagattolla e le luci di Fiammetta Baldiserri.
Titolo emblematico del melodramma italiano, Nabucco si riconferma un'opera monumentale, amatissima soprattutto grazie alle maestose pagine corali da ormai quasi due secoli impresse nella memoria collettiva del pubblico. E segna anche l’inizio della grande carriera di Verdi, che con questo titolo, nel 1842, conobbe finalmente il successo, dopo un grave fiasco artistico e la tragedia personale della morte della moglie e dei due figli.
Verdi stesso ne raccontò la genesi: depresso, aveva perso la voglia di rimettersi al lavoro e tornare a comporre. Fu l’impresario Bartolomeo Merelli a insistere e proporre al giovane Maestro un libretto firmato Temistocle Solera, dall’impegnativo titolo di Nabucodonosor. I versi narravano una storia di amore, ragion di stato, libertà e ricerca del divino ispirata alle Sacre Scritture. Il re di Babilonia, Nabucodonosor, imprigiona gli ebrei ed esige di essere da loro adorato, ma viene colpito da una maledizione del vero Dio, che lo riduce alla follia. La figlia Abigaille, in realtà una schiava, si autoproclama reggente e condanna a morte l’intero popolo d’Israele insieme alla sorellastra Fenena, che si è nel frattempo convertita; alla vista della figlia in catene, il re spodestato si pente e invoca il perdono del Dio di Israele. Abdallo, suo fedele, guiderà l’esercito contro Abigaille e il culto dell’idolo Belo: Nabucodonosor tornerà a regnare, libererà Israele e ordinerà la ricostruzione a Gerusalemme del tempio dell’unico vero Dio.
Nel leggere il libretto, l’occhio del compositore cadde sulle struggenti parole mutuate dal Salmo 137, in cui il popolo d’Israele siede lungo i fiumi di Babilonia e piange il ricordo di Sion; i commoventi versi divennero con Verdi il coro Va, pensiero, sull’ali dorate, immediatamente assurto a inno risorgimentale.
Il nuovo allestimento di Andrea Cigni sottolinea il dramma del singolo come motore dell’intera vicenda: «Più che la moltitudine che colpisce in quest’opera» dichiara il regista, «è il senso di solitudine che con forza impone una riflessione meno scontata sul dramma umano».
La tragedia scaturisce dalla solitudine di Abigaille, rifiutata dal padre, dalla sorella e dall’amato Ismaele, e dal suo abuso del potere e della violenza come rivalsa; «il risultato che si genera quando amore, comprensione, unità, vengono soppiantati da invidia, rancore, arroganza, rabbia». Così anche i riferimenti culturali e religiosi dei due popoli sono evocati dalle scene, dai costumi come elementi simbolici e drammaticamente svelati o nascosti dalle luci.