Cultura e spettacoli - 10 aprile 2020, 21:17

"Fare ironia in momenti di crisi è difficile, ma dà catarsi: Casa Fools ripartirà con il teatro 3.0" [INTERVISTA]

Il fondatore Luigi Orfeo: "I luoghi di spettacolo da qui a un anno vanno ripensati. Proporremo a Piemonte Live e Comune di Torino una nuova modalità di circuitazione"

"Fare ironia in momenti di crisi è difficile, ma dà catarsi: Casa Fools ripartirà con il teatro 3.0" [INTERVISTA]

Luigi Orfeo, l’emergenza Coronavirus ha toccato la realtà di Casa Fools a due anni dall’approdo nel quartiere Vanchiglia, rilevando l’ex Caffè della Caduta. E proprio lo scorso ottobre era iniziata la vostra prima stagione teatrale. Puoi descriverci in breve la vostra storia e cosa vi ha spinto a ridare vita a un luogo di spettacolo, in quel quartiere?

La nostra compagnia esiste dal 2015, con Roberta Calia e Stefano Sartore ci siamo formati a Roma. E proprio lì abbiamo avuto la nostra prima esperienza di gestione di un teatro. Quando siamo arrivati a Torino, nel 2012, abbiamo diretto il Torino Fringe Festival, che ci ha permesso di entrare in contatto con tante compagnie locali. Fin da subito ci siamo concentrati sull’importanza dell’impresa culturale, perché la sola componente artistica, di per sé, rischiava di essere velleitaria. Abbiamo quindi aperto una nostra scuola che ha contato il passaggio di circa mille persone, dal 2013 a oggi. Il Teatro della Caduta è stato fra i primi ad aprirci le porte, finché non ci ha chiesto di rilevare il Caffè, per cessata attività. All’inizio io e Roberta abbiamo risposti di no, mentre Stefano era d’accordo, proprio per far sì che non sparisse una fetta di teatro off torinese molto preziosa. E così, alla fine, sobbarcandoci di debiti, abbiamo accettato, ed è stato fenomenale, la scelta migliore che potessimo fare. Dal 1° giugno al settembre 2018 abbiamo realizzato tutti i lavori per metterlo a norma, ed è venuta ad aiutarci tantissima gente del quartiere, amici, spettatori. In tre mesi non c’è stato un solo giorno in cui ci siamo sentiti soli. Nemmeno un centimetro quadro di quel posto l’abbiamo fatto noi da soli, ma ha partecipato un’intera comunità. C’erano persone che venivano a portarci da mangiare o si mettevano a pulire. Quando abbiamo inaugurato, il 29 settembre, siamo andati in piazza Santa Giulia per portare dentro il teatro tutti quelli che erano lì. Il motivo era molto semplice: col nostro lavoro già ci campavamo, giravamo con gli spettacoli, la scuola funzionava, non ci interessava fare business, ma rendere la nostra quotidianità migliore, cioè fare un servizio per e società che ci ospitava. Per questo credevamo in un teatro aperto al pubblico, in modo trasversale. 

Ora veniamo a come voi state affrontando questo periodo. Da diverse settimane, ogni domenica, i vostri spettatori si ritrovano sul web per il Quarantena Streaming. Di cosa si tratta? 

È un varietà. Appena tutti i luoghi di spettacolo hanno chiuso i battenti, c’è stato un fiorire di proposte digitali, ma il peccato venale di queste iniziative era di voler proporre qualcosa che aveva necessità di un certo tipo di contatto, ma con un linguaggio diverso. Insomma, non basta mettersi davanti a una telecamera e fare uno spettacolo come se fossimo in un teatro vero, non si crea la connessione con il pubblico, rischia di essere estremamente noioso. Volevamo invece capire come mantenere una sorta di interazione, pensando a un linguaggio che potesse arrivare direttamente in camera. Avevamo tutti e tre già avuto esperienze televisive e cinematografiche, e sapevamo come muoverci, anche se sul web è tutta un’altra cosa. Siamo comunque riusciti a creare un programma in diretta con il pubblico, per il pubblico e attraverso il pubblico. È chiaro che, se ci fermiamo a pensare, ora ci ritroviamo nel pieno di una crisi, ma non è necessario ribadirlo con un programma in streaming. Avevamo una timeline di Facebook che parlava solo di drammi e gente che si indignava per qualcosa, non c’era nulla che ci facesse ridere. Per questo abbiamo voluto portare un po’ di leggerezza. 

E appunto la vostra attività sul web denota un bisogno diffuso di buonumore, soprattutto in momenti difficili come quello attuale. Avete riflettuto sul valore del vostro lavoro, anche rispetto ai riscontri ricevuti dal pubblico da casa?

Certo. Fare ironia in un momento di crisi è ancora più complicato che farla in tempo di pace. La catarsi, nel bel mezzo dei guai, è molto difficile da immaginare. Ci sei troppo dentro e non riesci ad avere quello sguardo distaccato indispensabile per ottenere l’ironia di cui parlava Pirandello. Ma il poeta si vede proprio nel momento di crisi dell’umanità intera, è troppo facile fare teatro quando tutto va bene. La gente ha bisogno di catarsi, dicevo: noi non sappiamo se riusciamo a darla, attraverso il nostro varietà, ma quel che è certo è che ci arriva una valanga di interazioni a ogni diretta. Dopo le prime puntate, la cosa che ci ha dato la spinta a continuare è stato ricevere messaggi di persone con parenti malati, costretti quindi alla quarantena rigida, ringraziandoci perché per mezz’ora si sono ritrovati fuori dalla propria casa. Ecco, questo per noi è stata la benzina principale. Più ovviamente i dati forniti da Facebook. Solo nel mese di marzo la nostra pagina è stata vista più di 80 mila volte: per noi, che siamo un teatrino, rappresentano un’enormità. Pensare che facevamo 80 o 90 persone a sedere stando stretti, al Caffè della Caduta….

Quali strumenti e misure occorrono per sostenere Casa Fools, quando l’emergenza sarà passata e si dovrà uscire dalla crisi?

E chi lo dice che ripartiremo? Ipotizziamo che tra sei mesi, a inizio stagione, ci saremo strutturati, a livello sanitario, per accogliere le persone con le mascherine, misurando la temperatura a ognuna e sanificando mani scarpe e telefono. Ma tu ci entreresti in un teatro di 400 posti? No, credo davvero che i teatri, tutti, da qua a un anno, dovranno far fronte a questiono del genere. Pensando all’immediato, le persone adesso sicuramente non ci andrebbero. Abbiamo amici e conoscenti che vivono la vita di tutti i giorni e facevano parte del nostro pubblico, i quali ci hanno chiesto: con quale coraggio rientriamo in sala? Non è pensabile far sparire lo show business, perché l’essere umano ne ha bisogno, ma da qua a un anno dovremo riconvertire i teatri, perché ora come ora sarebbe impossibile farli funzionare. 

La gestione dei vostri spettacoli, tuttavia, è molto interessante, perché si tratta di un Cartellone Condiviso scelto da un gruppo selezionato di spettatori. E il vostro teatro non prevede un biglietto d’ingresso, ma solo un’offerta libera lasciata dal pubblico. Puoi commentarci la scelta di queste due modalità? E ci fai un cenno sulla call aperta per la vostra seconda stagione? 

Come ho detto prima, non volevamo aprire un teatrino solo per noi, anche se sarebbe stato facile, ma volevamo ospitare altre compagnie, creando un vero circuito clientelare, scambiandoci il palcoscenico. E poi desideravamo capire che cosa il pubblico volesse vedere e di cosa avesse bisogno, per questo abbiamo fatto scegliere a loro il cartellone. Abbiamo raccolto tutte le proposte arrivate per la prima stagione - circa 90 - e, dopo una prima scrematura, abbiamo aperto una call, ricavando dodici persone di diverse età e provenienze culturali. È stato una bomba. Il pubblico finalmente vedeva e sapeva tutto prima di entrare in teatro. Addirittura alcune proposte di compagnie torinesi con un certo nome sono state scartate perché non parlavano al pubblico, ma si rivolgevano ad addetti ai lavori. I titoli scelti sono stati tutti positivi: ciascuno ha vissuto quell’ora in teatro in maniera viva, perché gli spettacoli comunicavano e non erano solo elucubrazioni intellettuali. Per questo è anche giusto che sia il pubblico a scegliere quanto pagare: noi educhiamo, attraverso il teatro, vogliamo responsabilizzare. Se ci pensi, il teatro è l’unico posto in cui tu paghi prima ancora di mangiare. Quando lo spettacolo era mediocre il cappello era mediocre, quando era bello avevamo percentuali di guadagno pari allo sbigliettamento. E abbiamo quindi voluto far partire la nuova stagione, “Futura”, ipotizzando un teatro 3.0, una possibile evoluzione dello spettacolo dal vivo. A breve chiederemo appuntamento a Piemonte Live e Comune di Torino per proporre un nuovo modo di fare spettacolo, ponendoci come soggetto pilota, per una nuova modalità di circuitazione. Un’idea ce l’abbiamo, almeno nell’immediato periodo, da qua a un anno. 

Manuela Marascio

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