Profondo rosso. Il titolo del celebre film di Dario Argento, non a caso girato all’ombra della Mole Antonelliana, descrive alla perfezione lo stato dei conti del Comune di Torino. L’emergenza Coronavirus, come noto, oltre a cambiare le vite dei torinesi, ha stravolto anche ogni singola voce di bilancio, chiamando gli uffici di Palazzo Civico ha una lavoro extra per far quadrare i conti.
Le mancate entrate si aggirano intorno ai 250 milioni di euro e ogni ragionamento possibile per capire come far fronte alla situazione porta a un’unica risposta: l’aiuto del Governo. Anci ha infatti comunicato di aver raggiunto l’accordo per un’iniezione da 3 miliardi di euro per le città. A Torino, secondo una stima del direttore finanziario Paolo Lubbia, spetterebbe una cifra compresa tra i 70 e gli 80 milioni. Calcolatrice alla mano, di fatto, rimarrebbe un segno meno vicino alla cifra di 170-180 milioni di euro. Tantissimi.
Il problema è però comune, perché come ricordato più volte il Covid-19 non conosce certo confini amministrativi: Milano ha un problema di 500 milioni di euro, Genova e Firenze di 150, Bologna 120 e Napoli 170 milioni. Su Torino pende però una spada di Damocle non indifferente: il Piano di Rientro già concordato. Un piano basato sull’equilibrio tra entrate e uscite, ma che andrà giocoforza concordato una seconda volta come suggerito da Damiano Carretto (M5s): allo stato attuale, infatti, rispettarlo sarebbe impossibile.
Quello che preoccupa è poi la riserva di cassa: a Palazzo Civico sono calate le entrate derivanti da tributi, canoni, sanzioni e tariffe. La riserva di cassa, oggi, permetterebbe al Comune di andare avanti alcuni mesi. Non di più. Uno step decisivo, in tal senso sarà il pagamento dell’Imu, oggi fissato al 30 giugno 2020: se il Governo decidesse di posticipare questa scadenza a novembre (un’ipotesi concreta), senza una compensazione il Comune si ritroverebbe sprovvisto di una riserva di cassa.
Quali soluzioni dunque? La consigliera Federica Scanderebech si auspica che il Governo modifichi la norma che impedisce ai Comuni di utilizzare una parte dei fondi vincolati: “Se poi lo Stato mantenesse invariata la percentuale di accantonamento del cosiddetto Fondo crediti di dubbia esigibilità rispetto al 2018/2019, si consentirebbe a tutti i Comuni di liberare risorse importanti per aiutare e sostenere quella ripresa produttiva”. Quel che è certo è che la mancata erogazione di alcuni servizi ha portato a un risparmio delle spese di 5 milioni di euro circa tra bollette, risparmi di economato e servizi educativi. Una buona notizia, ma ovviamente non sufficiente in quanto il risparmio delle spese allo stato attuale corrisponde al 2% rispetto ai 250 milioni di buco. Per quanto riguarda le somme non ancora impegnate, oggi si possono contare 190 milioni di euro, di cui 90 in interessi passivi da corrispondere alle banche. Si scende quindi a 100. Capitolo quote di capitale: risultano invece 120 i milioni di euro da impegnare, ma difficilmente si potrà risparmiare più di 30 o 40 milioni.
Va da sé che l’intervento di Roma diventa a questo punto fondamentale, vitale per i conti di Palazzo Civico. L’ammissione arriva dallo stesso assessore al Bilancio del Comune di Torino, Sergio Rolando: “Aspettiamo il decreto aprile, che dovrebbe trovare la sua nascita nella prima metà di maggio. Da lì vedremo quali azioni mettere in campo”. Un’attesa febbrile, perché senza un corposo intervento da parte del Governo, la Città di Torino rischia di arrivare alla prossima primavera, quando si dovrà discutere del bilancio, con una voragine più che con un buco.