Attesa e preoccupazione: sono questi i due sentimenti che caratterizzano questa estate per gli imprenditori torinesi. Lo rivela l'ultima indagine della Camera di Commercio di Torino, ribadendo gli allarmi che già da più parti vengono segnalati come la crisi di liquidità e il calo del giro d'affari e degli ordinativi. Addirittura, se il 43% delle imprese intervistate prevede pesanti ricadute economiche, più di una su tre (il 35%) si considera addirittura a rischio di chiusura definitiva.
E se nel secondo trimestre 2020 si nota una minima vivacità (le nuove aziende sono 2350 a fronte di 1386 chiusure, per un tasso di +0,44%), il peggio non si può ancora dire passato. I dati non mostrano ancora la temuta drastica diminuzione del numero di imprese, quanto piuttosto una situazione di stabilità, con poche aperture e poche chiusure, in un clima generale di prudenza e attesa – sottolinea il presidente della Camera di commercio torinese, Dario Gallina –. Ma sono evidenti le preoccupazioni dei nostri imprenditori, alle prese con mancanza di liquidità e cali generalizzati nelle vendite".
D'altra parte, dalla ricerca emerge che a seguito del lockdown ben il 62% delle imprese ha dovuto sospendere completamente l’attività. Si è trattato soprattutto di attività dei servizi alle persone (l’83% del settore), seguite dal turismo (il 76%) e commercio (il 65%). La sospensione ha riguardato soprattutto le imprese individuali (il 72% delle imprese con tale forma giuridica) e con meno di 10 addetti (il 67% delle micro imprese).
L’emergenza sanitaria ha portato in primis un deterioramento della liquidità (criticità rilevata dal 74% delle rispondenti), cui segue il calo/cancellazione delle vendite e degli ordinativi (il 64%). Più distanziate seguono le problematiche connesse alla perdita dei principali mercati di riferimento o dei principali clienti, che ha coinvolto il 36% delle imprese, e la difficoltà nel tornare a lavorare "in sicurezza" nel difficile contesto di riferimento (il 19%).
Il deterioramento della liquidità vede maggiormente coinvolte le imprese del turismo e delle costruzioni (rispettivamente l’87% e l’81% dei rispettivi settori), mentre il calo degli ordinativi, dopo il commercio (il 69% delle imprese del settore), ha toccato l’industria manifatturiera (il 67%).
Nel complesso, nove imprese su dieci hanno manifestato una diminuzione più o meno marcata del fatturato; oltre otto su dieci degli ordinativi e dell’occupazione. Guardando ai singoli settori di attività, tutti i comparti registrano diminuzioni; ad aver registrato un’erosione più marcata delle tre variabili economiche- sono però le attività dei servizi di alloggio e ristorazione che nel 100% dei casi hanno dichiarato una diminuzione di tutte e tre le componenti.
Con l’avvio della Fase 2 il 43% delle imprese ha dichiarato che ci sarebbero state ricadute economiche negative importanti sull’attività. A questa percentuale si aggiunge un ulteriore 35% di imprese che hanno dichiarato di avere un’attività a rischio chiusura: l’analisi per settori economici vede, tra queste, al primo posto ancora una volta quelle turistiche (il 71,1% delle imprese del settore) - soprattutto i bar-, le imprese del commercio (in primis negozi al dettaglio di abbigliamento e scarpe) e i servizi alle persone (parrucchieri ed estetisti). Solo il 4,9% ha dichiarato che non ci sarà nessun impatto rilevante.
Tra le imprese che hanno sospeso completamente l’attività nella Fase 1 dell’emergenza sanitaria, il 47,6% ha dichiarato che avrebbe continuato a stare chiusa anche con l’avvio della Fase 2 ed il 22,9% che avrebbe aperto solo parzialmente l’attività. Tra i principali motivi per la mancata apertura completa, al primo posto con il 43,3% delle imprese si colloca la sostenibilità economica (ad esempio a causa dei troppi costi fissi). Il 35,4% vede una difficoltà a rispettare le misure per la riapertura in sicurezza e un 25,7% delle imprese dichiara di avere rischi imprenditoriali eccessivi rispetto alla situazione di incertezza.
Sul ritorno alla normalità, le imprese che hanno dichiarato di poter riprendere i normali ritmi produttivi, seppur non prima di un anno, rappresentano il 44% delle rispondenti: di queste (il 54%) prevede di farlo con l’adozione di alcuni cambiamenti. Non sono tuttavia da sottovalutare le percentuali relative alle imprese che difficilmente ritengono possibile un ritorno ai livelli pre crisi (il 33%) e quante ritengono sarà necessaria una profonda riorganizzazione aziendale per sopravvivere alla crisi (il 29%).
A livello piemontese, invece, nel secondo trimestre del 2020 sono nate 3.995 aziende, a fronte di 2.493 cessazioni (valutate al netto delle cancellazioni d’ufficio). Il saldo è risultato positivo per 1.502 unità. Lo stock di imprese complessivamente registrate a fine giugno 2020 presso il Registro imprese delle Camere di commercio piemontesi ammonta così a 426.047 unità, confermando il Piemonte in 7ª posizione tra le regioni italiane, con il 7,0% delle imprese nazionali.
Il bilancio tra nuove iscrizioni e cessazioni si traduce in un tasso di crescita del +0,35%, leggermente inferiore rispetto a quanto registrato in Piemonte nel II trimestre del 2019 (+0,40%) e analogo rispetto alla dinamica evidenziata dal tessuto complessivo nazionale nel periodo aprile-giugno 2020 (+0,33%)
“Il tessuto imprenditoriale piemontese resiste, con forza e caparbietà. L’emergenza da Covid-19 ha rallentato e ridefinito le attività dei nostri imprenditori, ma non sembra aver cancellato la voglia di fare impresa. Il tasso di natimortalità delle imprese piemontesi è leggermente positivo, in linea con il risultato nazionale: tra tutti i settori, spiccano quello del turismo e delle costruzioni. Il nostro sistema, composto per lo più da una fitta rete di piccole e medie imprese, ha però bisogno di nuova linfa per evitare brusche cadute improvvise, soprattutto verso la chiusura dell’anno. Dobbiamo evitare che cresca la disoccupazione e soprattutto il timore verso il futuro. Dobbiamo aiutare le imprese in modo strutturato, al di là della pandemia", afferma Gian Paolo Coscia, presidente di Unioncamere Piemonte.