Eventi - 08 settembre 2020, 07:37

Alla Fondazione Merz le donne spingono l'arte "oltre" i limiti

Inaugurata la nuova mostra "Push the limits" con le opere di 17 artiste internazionali

Alla Fondazione Merz le donne spingono l'arte "oltre" i limiti

Un progetto tutto al femminile che indaga la capacità dell’arte di porsi costantemente al limite, spostando l'asse del pensiero, della percezione, del discorso e immettendo nuovi elementi nel sistema. E' questa l'anima di PUSH THE LIMITS, la nuova mostra allestita alla Fondazione Merz di Torino, a cura di Beatrice Merz e Claudia Gioia, che ha riaperto oggi le porte al pubblico dopo il lockdown per una tre-giorni di opening fino al 9 settembre.

Finalmente esposte - dopo l'annullamento lo scorso marzo, e ancora ritardi e rinvii a causa della pandemia - le opere di diciassette artiste dal respiro internazionale: Rosa Barba, Sophie Calle, Katharina Grosse, Shilpa Gupta, Mona Hatoum, Jenny Holzer, Emily Jacir, Bouchra Khalili, Barbara Kruger, Cinthia Marcelle, Shirin Neshat, Maria Papadimitriou, Pamela Rosenkranz, Chiharu Shiota, Fiona Tan, Carrie Mae Weems e Sue Williamson

Una polifonia di segni ed esperienze che parla all'osservatore - chiamato a vivere un'esperienza totalmente immersiva attraverso le installazioni - della capacità di concepire col pensiero tutte quelle realtà che si spingono "oltre", superando confini geografici, discriminazioni di genere o razziali, pregiudizi e inibizioni. 

"Un limite - spiegano le curatrici - può nascere in qualsiasi momento e in un luogo dove prima non c’era, può manifestarsi come una malattia dove prima c’era solo la quotidianità, può essere inventato e modellato su un avversario da esso stesso creato. Ma un limite è anche fatto per essere oltrepassato, rinominato, dilatato, ridisegnato e per consentire il passaggio. Diciamo push the limits perché l’arte è ‘spingere oltre i limiti’ continuando a offrire, attraverso il tempo, uno spazio dove i codici correnti di comportamento sono sospesi e la trasformazione diviene possibile; dove il ‘come se’ consente un flusso di più visioni e linguaggi nella ricerca di nuovo senso. Generazioni, storie, sguardi, immagini e logos per dire che quella che chiamiamo realtà altro non è che una crosta sull’infinità dei possibili e che se proviamo a spingere la crosta, questa si rompe facendo emergere tutti quei possibili che ancora non conosciamo”.

Il percorso di visita si apre con l'opera della tedesca Katharina Grosse, "Il cavallo trotterellò un po' più in là", da attraversare fisicamente sperimentando l'evoluzione spaziale e temporale data al gesto pittorico. Tessuti piegati, annodati e drappeggiati si offrono al visitatore macchiati di colore, come un tendaggio rovesciato dal soffitto al pavimento. Subito accanto, il video dell'iraniana Shirin Neshat, totalmente immerso in un'atmosfera onirica, dove la protagonista, Sarah, attraversa un'oscura foresta abitata da fantasmi, immaginando la propria morte come atto estremo di ribellione alla paura.

Di grande impatto visivo l'installazione a tutta parete di Barbara Kruger, che con la musicalità della frase "pensando a me, pensando a te" invita a rompere l'egoismo che ci attanaglia, scoprendo nuove modalità di relazione. Altrettanto sfidante l'approccio scelto da Rosa Barba, unica artista italiana in mostra, con "Sea Sick Passenger": un ampio quadrato di feltro, sollevato a generare un'ombra, che richiede al visitatore un movimento tutt'attorno per decifrarne le scritte. Una matrice cinematica che mima il movimento del braccio della macchina da scrivere, trasformando l'osservatore in editor.

Forte la denuncia sociale della proposta fotografica firmata Carrie Mae Weems, che ripercorre alcuni episodi salienti quali l'arresto dell'attivista Angela Davis o gli scontri all'Università di Kent, in Ohio. E supera il limite dell'indicibile e dello sconveniente anche Jenny Holzer, con un'installazione a led che mette in luce le impunità dei militari americani di fronte alle accuse di abuso sui detenuti nel corso della guerra in Afghanistan (testimonianze durissime tratte dall'Army's Criminal Investigation Command del 2004). 

Da segnalare, ancora, "The family un disorder" della brasiliana Cinthia Marcelle, frutto di un intervento collettivo di performer su materiali naturali e industriali - mattoni, gessi, terra... - distribuiti in parti uguali, ma giocando con l'opposizione ordine/caos, in due diverse stanze, e il meraviglioso diamante prismatico della greca Maria Papadimitriou, ispirato alla celebre massima di Arthur Rimbaud "Je est un autre", che spinge sul concetto di arte come traino del cambiamento. 

Opere di estrema attualità e dal messaggio urgente, da sperimentare sforzandoci di cambiare prospettiva e punto di vista. Anche vivendo esperienze stranianti come quella messa in scena da Pamela Rosenkranz nel suo geniale allestimento "Amazon spirits" (nello spazio espositivo interrato). Una commistione grottesca e surreale di elementi naturalistici tratti dalla foresta amazzonica con la filosofia della mercificazione ultracapitalista del colosso Amazon, con tanto di cassa high-tech a ricreare artificialmente i suoi dell'habitat tropicale. 

Manuela Marascio

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