Il comune di Torino ha firmato questa mattina il protocollo Fast-Track Cities, un network di città che si pone l’obiettivo di contrastare l'AIDS, riducendo lo stigma e le discriminazioni nei confronti di chi ha contratto il virus. Ancora oggi la mancanza di consapevolezza e la giusta informazione nei confronti dell’infezione da HIV (Human Immunodeficiency Virus) e della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) costituisce un limite al controllo dell’epidemia. Una recente indagine - Is HIV sorted - ha riportato che quasi la metà (43%) degli intervistati residenti in Italia ignorano che l’HIV sia un virus e solo il 37% è in grado di definire in modo corretto la sindrome da immunodeficienza acquisita, mentre circa un quarto dei cittadini (27%) ritiene che HIV e AIDS siano sinonimi.
"Siamo impegnati da sempre su tutti i fronti della lotta all’HIV - dalla prevenzione alla terapia - con l’obiettivo di trovare una cura definitiva. Andiamo oltre la ricerca, collaboriamo con istituzioni, associazioni di pazienti e clinici per prevenire e limitare la diffusione del virus, perché è un percorso che ha più valore ed efficacia se lo si fa insieme. Con Is HIV sorted? Si è voluto indagare il grado di consapevolezza sull’HIV ed è emerso che permane ancora una forte disinformazione sul tema. La lotta all’HIV non è finita e bisogna intervenire concretamente. Torino, con la firma del protocollo Fast Track Cities, si impegna a farlo sposando questa causa in cui noi crediamo molto. Non abbassare la guardia sul tema e garantire una corretta informazione è un imperativo comune e le istituzioni giocano un ruolo fondamentale", afferma Valentino Confalone General Manager di Gilead Sciences Italia.
I dati dell’indagine riferiscono che a Torino l’87% dei soggetti adulti non si ritiene a rischio di contagio e quasi il 60% non ha mai eseguito un test HIV, mentre il 45% di coloro che l’hanno eseguito almeno una volta l’hanno fatto più di 5 anni prima. C’è ancora molta disinformazione anche rispetto al trattamento dell’HIV basti pensare che quasi il 50% degli intervistati pensa che chi convive con l’HIV e segue una terapia efficacie possa comunque trasmettere il virus ad altri. La mancata percezione del rischio e delle misure di prevenzione, si associa a un approccio sociale negativo nei confronti delle persone con infezione da HIV.
L'attitudine sociale negativa nei confronti delle persone sieropositive pone serie barriere all’ottenimento dell’obiettivo 90-90-90 dell’UNAIDS entro il 2020, in quanto lo stigma disincentiva il ricorso al test e può frenare le persone sieropositive dall’accedere precocemente alle cure fondamentali che oltre a ridurre la mortalità legata all’AIDS e favorire una aspettativa di vita pressoché normale è uno degli strumenti fondamentali per prevenire la trasmissione di HIV.
Una terapia antiretrovirale efficace che porta a livelli di virus nel sangue non misurabili (soppressione virale) per almeno sei mesi consecutivi vuol dire che il virus non è trasmissibile dalla persona sieropositiva ad un partner sessuale sieronegativo, le premesse per il messaggio U=U (Undetectable = Untrasmittable; Non misurabile = Non trasmissibile), fatto noto, per riprendere il sondaggio precedente, solo a un 16% degli intervistati.