E poe...sia! - 24 gennaio 2021, 08:10

Matti da legare

Quel po' di follia al servizio di tutte le arti. E i versi di una poetessa che è stata molto vicina agli uomini e alle donne delle comunità psichiatriche

Disegno di Mariella Antonia Balla

Disegno di Mariella Antonia Balla

La letteratura ne è zeppa: Jane Eyre, Delitto e Castigo, Il ladro di anime, L’altra verità, Diario di una diversa, Follia, Il Memoriale

La cinematografia ne è colma: A Beautiful mind, Shutter Island, Mi chiamo Sam, Ragazze interrotte, Qualcuno volò sul nido del cuculo, Joker, L’uomo della pioggia…

L’arte ne trae ispirazione: Van Gogh, Goya, Ligabue, Camille Claudel, Francis Bacon, Richard Dadd…


Di cosa stiamo parlando? Quale la molla responsabile di tanto lavorio?

Alcuni la chiamano pazzia, altri adoperano espressioni di uso comune, meno impegnative e necessariamente ironiche del tipo “credo proprio ti manchi qualche rotella”; una fetta consistente non le dà alcun nome, credendo che ignorarla significhi cancellarla. Infine la parte restante, che da secoli cerca di comprendere, interagire, migliorare la condizione di assistiti e assistenti.

Errori ne sono stati fatti e molti. Nell’approccio al paziente, nei metodi, nelle terapie a lungo termine; spesso, brancolando nel buio o quasi. Esperienze terribili che qualcuno ci ha raccontato, un documentario ci ha mostrato, una canzone enfatizzato.

Tuttavia, non sta a una rubrica poetica discutere di argomenti tanto delicati in termini medici. Impossibile dipingerne un ritratto equilibrato e imparziale.

Personalmente posso dire di aver incontrato spesso, lungo la strada, i disturbi mentali. A volte ben mascherati, in altre sfacciati, di forme e colori diversi, su persone più o meno vicine ma con tutta la loro presenza. Una presenza ingombrante che si cerca inconsciamente di ridimensionare e adattare alla “normalità”, senza rendersi conto della verità: la vera follia è non accettare una diversità del sentire e dell’essere che ci accompagna sin dalla notte dei tempi. Patologie della mente che ancora oggi provocano vergogna, repulsione, paura; distorsioni dell’anima che andrebbero affrontate allo stesso modo di un qualsiasi problema fisico.

Immaginiamo per un attimo di vivere avvolti da un’invalicabile nube grigia che filtri qualsiasi paesaggio si apra davanti agli occhi, rendendolo tetro. Immaginiamo di convivere con ossessioni e fobie che non lascino spazio ed energie a null’altro: movimenti ripetitivi e schiavi, timori talmente radicati da impedire le più semplici azioni, la vita. Immaginiamo di sentire voci e vedere volti che qualcuno invece ci assicura essere frutto della nostra sola mente e di dover credere a quel qualcuno. Che magari usa pure poco tatto, quasi fossimo un difetto di fabbrica. Immaginiamo di non poter fare a meno, per tutta la vita, di cure farmacologiche, in casi estremi mortificanti. E di venire raggirati senza riguardo, presi in giro, additati, catalogati con l’etichetta “matto da legare”.

Ora, chiediamoci: è davvero possibile l’inclusione? Oltre al desiderio di comprendere il “diverso” da sé (e, se state leggendo, l’avete coltivato), esistono passi concreti che una società civile come la nostra potrebbe attuare, giorno dopo giorno, anno dopo anno, per sradicare le radici di un tabù così pericoloso? In tutto questo, dove porre l’arte e la poesia?

Un piccolo spunto di riflessione, giusto per stuzzicare l’appetito che dicono venga mangiando: avete mai notato che una percentuale “pazzesca” di produzione artistica e tutta dal valore inestimabile (si spazia dal pittorico al musicale, passando per la letteratura), appartenga a personalità controverse, contorte, se non decisamente disturbate? Moltissimi gli esempi, incredibili le coincidenze. E se questi esseri umani fuori contesto (il nostro contesto) riuscissero ad esprimersi davvero solo grazie al sub-linguaggio dell’arte? Se fosse il loro dono, la loro voce, il loro lascito all’umanità? Se fossimo noi a perderci interi mondi, ad essere menomati e ciechi tra schemi fissi che esistono, questa volta, solo nella nostra testa?

La magia è roba per cartoni animati: non esiste. Una sessione di pittura o di musicoterapia non potrà fare miracoli, non guarirà nessuno. Tuttavia, potrebbe rappresentare la possibilità. La possibilità dell’altro. Di liberarsi, di esprimere un’interiorità pressante e senza nome, esplodere senza far danno, godere del tempo, creare. Se anche si trattasse “soltanto” di questo, un incremento della dignità e della soddisfazione personale, un miglioramento della qualità di vita, non sarebbe già una vittoria? Non avremmo gettato in parte le basi del ponte tra malato e ambiente?

Star bene funziona più di quanto pensiamo e dare un senso alle ore che passano non è da meno. Ecco che gli ultimi anni hanno visto l’intensificarsi di terapie riabilitative incentrate sull’arte e la scrittura. Coraggiose, utili! Esperimenti che si sono trasformati via via in veri e propri iter medici. Troppo pochi, però, i casi. Pochi i fruitori. La maggioranza delle famiglie è obbligata a pagare di tasca propria servizi indispensabili, professionisti di nicchia di grande esperienza; il resto vi rinuncia.

Volete sapere cosa rispondo all’obiezione rassegnata “mancano i fondi”? All’incirca questo: fanculo i burocrati e le loro priorità meschine, fanculo decenni di sprechi e scempi.

Non cambierà niente, ma almeno l’ho detto! E che possa, quest’epidemia, servire da monito a chi pensa di poter depredare impunemente settori vitali come quello psichiatrico e per estensione sanitario.

Felicissima, adesso, di lasciare il posto alla mia ospite e seconda intervistata di “E Poe…sia!”, Mariella Antonia Balla. Qualche domanda per chi ha toccato con mano e cuore quanto detto finora.

Raccontaci di te: chi è Mariella Antonia Balla, cosa ama e perché, quando ha scoperto che la poesia s’intonava alle sue corde? Hai già pubblicato? Siamo curiosi e pimpanti, dicci.

"Ho iniziato a scrivere da ragazzina. Ero una bambina timida e chiusa. Dopo aver letto Il diario di Anna Frank mi si è spalancato un mondo davanti. Ho cominciato anch’io a tenere un diario intimo chiuso col lucchetto, ritrovando la sensazione di essere prigioniera. Dopo i diari sono passata a scrivere piccole riflessioni, racconti, filastrocche e poesie. Facevo le scuole medie; oggi ho 63 anni.

Ho partecipato a serate di poesia nel Torinese e, quando recitavo con un gruppo teatrale, scrivevo i miei testi. Poi, nel 2019, ho inviato la mia silloge a una casa editrice non a pagamento che ritenevo valida per testi già pubblicati che avevo letto.

La casa editrice La Gru ha risposto subito 'sì' e si è così avverato un sogno. Nasce Navigare a vista, una raccolta di 111 liriche.

Purtroppo il Covid e la chiusura dei locali hanno fermato le presentazioni del libro. Ma la poetessa Agnese Coppola mi ha 'pescata' su Instagram e invitata a leggere alcuni testi in video dirette. La devo proprio ringraziare"

Pezzi di vita: quale importante esperienza sei qui a condividere con me e i lettori? Com’è cominciata, cosa ti ha spinto in quella direzione?

"Ho sempre nutrito interesse per i temi di riforma sociale. Quando ho letto della legge 180 (legge Basaglia: apertura dei manicomi) lavoravo come dietista, ma non ho avuto un attimo di esitazione: volevo essere utile agli altri, compresi quelli imprigionati negli ospedali psichiatrici. Volevo con tutte le mie forze potessero essere chiamati 'umani' e raggiungere la dignità delle persone libere. Sapevo delle condizioni terribili nelle quali queste povere persone erano recluse, avendo una parente ricoverata. Il primo giorno che ho messo piede in manicomio ho pianto di spavento e angoscia. Queste donne si avvicinavano seminude a toccarmi e urlavano. Provavo tanta pena per loro.

Lavorare nelle comunità sul territorio e negli alloggi con gli ospiti (così venivano chiamati i pazienti) è stata per me una grande occasione di crescita personale. Ero in prima linea. Mi occupavo dell’igiene personale, dei farmaci, del tempo libero.

Cercavamo anche di ricostruire i loro rapporti familiari andati persi e prepararli per il mondo del lavoro. Inoltre, mi occupavo delle attività del centro diurno, tra cui un gruppo di poesia collettiva. Si scrivevano due versi e si passava il foglio al vicino. Giocando, potevamo comunicare tra noi le nostre emozioni".

Rapporti: si potrebbe dire che abbia instaurato rapporti positivi con i residenti grazie alle emozioni che loro stessi imparavano a gestire? Oppure è stato necessario accantonarle a favore di razionalità e regole? Proporresti un percorso terapeutico in cui la poesia letta e scritta sia utilizzata quotidianamente come valvola di sfogo e metodo per 'tirarle fuori', queste emozioni, conoscerle e dunque sentirsi parte della società?

"Impossibile non metterci del proprio; controproducente, persino. Il paziente sente se 'ci sei', se 'esisti' lì e adesso. Chiaramente, vanno stabiliti limiti da non superare né far superare MAI. A proposito del percorso terapeutico in poesia assolutamente sì, sarebbe fondamentale!".

Collettività: quale credi sia il peggior sbaglio che commette, forse inconsciamente, chi vive da spettatore questi difficili percorsi riabilitativi? Cosa può fare ognuno di noi, concretamente e a piccoli passi?

"Ho lavorato nell’ambito psichiatrico a partire dal 1984, per 13 anni. A quell’epoca c’erano diversi pregiudizi verso i malati psichiatrici. Alcuni bar o pizzerie ci mettevano alla porta senza neppure lasciarci entrare. Era vergognoso. Più o meno, ancora oggi, verso le minoranze ci sono simili soprusi. Dire basta e non stare a guardare potrebbe essere un buon inizio".

Lezioni: cos’hai imparato, personalmente, da questo percorso impervio eppure autentico? Cosa credi porterai sempre con te e cosa desideri trasmettere a chi conosce poco o niente della realtà psichiatrica?

"Vorrei che il mondo evolvesse. Vorrei che ci fosse maggiore integrazione e maggiore comprensione del diverso. Vorrei che gli 'ultimi' avessero voce. Perché ce l’hanno ed è un peccato non ascoltarla neppure una volta nella vita".

Futuro: la tua idea di successo e la scala delle priorità. Posizione, denaro, rispetto, aspetto, sentimenti, capacità 'cognitive', solidarietà. Come componiamo questo immenso puzzle?".

"Sono rimasta una sognatrice quindi rispondo così: il rispetto non fa rima con aspetto ma fa rima con affetto. La posizione, il denaro e la solidarietà sono tre fratelli; il più maturo è la solidarietà, il denaro è l’ultimo nato e deve ancora crescere".

Grazie per essere stata nostra gradita ospite, Mariella. Per il coraggio e la forza impiegati ad aprire vasi di Pandora tanto scomodi. L’onestà d’anima fa sempre un gran bene e ne faremo tesoro, puoi starne certa!

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IGIENE MENTALE

Io sono seguita

da un centro di igiene mentale.

Ero colei che mente con la mente.

Ero un albero che lasciava scappare

le sue foglie.

Ero un verme che strisciava

senza alzare la testa.

Ora sono nuova. Un'altra.

Il cervello mi è messo a bagno

tutte le mattine

e restituito la sera.

I neuroni lavati e spazzolati

sotto l'acqua corrente.

Gli ingranaggi della memoria

sgrassati ben bene.

Quando la sera torno a casa

così ben igienizzata

non riconosco il mio vicino.

Di mio marito mi devo

di nuovo innamorare.

E scrivo scrivo

sempre parole nuove

come se io non fossi più io.

Com'è bella la follia

e la sua cura.

Non mi lascia il tempo

di annoiarmi.


-Mariella Antonia Balla-


Questo verso in particolare…


Non mi lascia il tempo di annoiarmi”


E se fosse proprio questa la miglior cura?

Pensateci su.

Alla prossima

Johanna Poetessa

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