- 11 febbraio 2021, 14:18

Storie di alberi e del mondo

Il bonsai di pino bianco sopravvissuto alla bomba di Hiroshima. E l'acacia più isolata del mondo, cresciuta nel deserto del Sahara, che ora è stata sostituita da un palo in ferro

Storie di alberi e del mondo

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Oggi vogliamo parlare di alberi. Abbiamo appena ordinato un bonsai, un paciuli africano. Non ne abbiamo mai avuti ma ci affascinano tantissimo. Leggendo qua e là per cercare informazioni sulla sua coltivazione, abbiamo trovato una storia di un bonsai semplicemente bellissima. È la storia di un bonsai di pino bianco di 400 anni, sopravvissuto alla bomba di Hiroshima. Custodito dalla famiglia giapponese Yamaki per cinque generazioni, nel 1976 fu donato agli Stati Uniti in occasione del bicentenario Usa-Giappone. Vi raccontiamo la sua storia.

Nell'agosto del 1945, quando il mondo cambiò per sempre e la Seconda Guerra Mondiale vedeva il suo tragico epilogo, questo bonsai apparteneva alla famiglia Yamaki. Quel fatidico 6 agosto, in cui la bomba nucleare cadde sulla città di Hiroshima, il bonsai si trovava in casa Yamaki, con Masaru, sua moglie Ritsu e il loro giovane figlio Yasuo, a poco più di tre chilometri dall’epicentro. La famiglia fu salvata dall'esplosione e protetta dalle radiazioni dal grande muro dell'abitazione e se la cavarono miracolosamente. Ma il bonsai si trovava all'esterno in un vivaio che allo stesso modo protesse i suoi ospiti vegetali con spesse mura. Fu così che il bonsai che ora ha quasi 400 anni sopravvisse all'esplosione della bomba atomica di Hiroshima. Il bonsai venne donato all'Arboreto nazionale degli Stati Uniti di Whashington, nel 1976 dal maestro giapponese Maseru Yamaki come segno di pace. Il bonsai è attualmente visibile presso il National Bonsai & Penjing Museum di Washington.

Questo albero dunque non è solo un segno di pace tra i due paesi, ma una vera rappresentazione della sconfitta della vita sulla morte. Un piccolo albero in miniatura sopravvissuto a un'esplosione che causò oltre 60.175 morti immediati e più di 180mila sfollati, e che nel corso del tempo, a causa delle radiazioni ha portato il numero delle vittime a superare le 140mila.

C'è un'altra bella storia che vogliamo raccontarvi. Non si tratta più di un bonsai ma di una acacia. Sapete qual è (o meglio, qual era) l'albero più isolato del mondo?

Una acacia solitaria che si trovava nel deserto del Sahara, precisamente nella regione del Tenerè. La regione del Ténéré non è sempre stata desertica. Durante il periodo Carbonifero era coperta dal mare, e successivamente si trasformò in una foresta tropicale. I dinosauri vagavano nella regione, che un tempo era anche il terreno di caccia di un coccodrillo soprannominato SuperCroc. Esseri umani moderni la abitarono già nel Paleolitico, circa 60.000 anni fa, andando a caccia di animali selvatici. Durante il periodo neolitico, circa 10.000 anni fa, antichi cacciatori lasciarono incisioni rupestri e dipinti che si possono ancora trovare in tutta la regione.

Ma a poco a poco, i cambiamenti climatici ridussero l'area a un'inospitale distesa di sabbia, con poca vegetazione e una piovosità media annua di soli 2,5 centimetri. Anche le falde acquifere sotterranee si ridussero, così che, all'incirca agli inizi del 20° secolo, un piccolo gruppo di spinose acacie a fiore giallo era tutto ciò che restava degli alberi del Ténéré. Nel corso del tempo, morirono tutti tranne uno, che rimase l'unico albero superstite in un raggio di 400 km. Non era molto alto, sui 7-8 metri, ma ciò bastava a farlo emergere sul paesaggio, piatto e uniforme, del Teneré. Aveva però radici profonde, che raggiungevano i 40 metri di profondità nel terreno, dove attingeva l’acqua per sopravvivere in quelle condizioni estreme.

Per molti anni l'albero del Tenerè fu un importante punto di riferimento per chi vive nel deserto. Addirittura rappresentato sulle cartine geografiche, o utilizzato come riferimento anche dalla famosa gara Parigi / Dakar.

Purtroppo, però, ciò che la natura conserva può essere distrutto dall'uomo...Infatti, l'albero più isolato del mondo morì nel 1973, per colpa di un camionista libico probabilmente ubriaco che lo investì alla base, spezzandolo. Adesso riposa in pace in un monumento funerario che si trova al Museo Nazionale di Niamey, la capitale del Niger. Al suo posto, nello stesso punto indicato dalle coordinate 17° 45’ N e 10° 04’ E, c'è oggi una specie di palo in ferro, una scultura metallica che lo rappresenta. Ma non è più la stessa cosa.

Vi aspettiamo sul nostro gruppo.

Sonia Barone e Domenico Simonetti

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