Oggi erano una trentina in via Salvo d’Acquisto 2 a Vinovo, di fronte ai cancelli della casa di riposo del gruppo friulano Sereni Orizzonti, manifestavano chiedendo rispetto “per chi lavora, per gli anziani e per le sentenze”. Dopo lo sciopero del 27 aprile a Torino, i lavoratori hanno ricominciato a far sentire la propria voce, stanchi del silenzio che ha preso il sopravvento: “Dopo lo sciopero, l’azienda è sparita e la Regione anche – lamenta Michael Pellegrino della Fp Cgil –. Oggi avevamo invitato anche i sindaci dei Comuni coinvolti, ma nessuno è venuto”.
I lavoratori, convocati da Cgil Fp, Cisl Fp, Cisl Fisascat e Uilfpl, si sono sfogati, raccontando la loro situazione anche ai carabinieri, che sono passati a controllare il presidio.
Il 3 marzo è stato indetto lo stato di agitazione per le scelte compiute dal gruppo, che il 4 gennaio ha optato per il Fondo di integrazione salariale per i 685 lavoratori del socio-assistenziale impegnati in Piemonte, cercando di attutire l’impatto della pandemia. Dopodiché ci sono stati proposte di trasferimento inaccettabili e la chiusura di alcune strutture.
“A un’operatrice di Vinovo è stato proposto di andare a lavorare a Piverone. Il giudice le ha dato ragione due volte, ma non è ancora stata reintegrata” lamenta Pellegrino.
A preoccupare sono anche le chiusure dei presidi di Frossasco e Piobesi: “In totale ci lavorano una ventina di persone, che ora sono in cassa, mentre gli ospiti anziani sono stati spostati a Vinovo, senza neanche chiedere all’Asl” contesta Pellegrino.
“Non si sa che fine faranno, come c’è preoccupazione per chi opera a Volvera: la cucina è stata chiusa e i tre dipendenti sono stati messi a sporzionare i pasti che arrivano da fuori – entra nel merito il sindacalista –. Ma il gruppo vuole aprire altre due case di riposo nella Provincia di Torino, di cui una a La Loggia, entro fine anno, e il timore è che Volvera possa venire smobilitata come le altre due, lasciando nell’incertezza una trentina di lavoratori”.
I sindacati chiedono chiarezza e maggior rispetto dei lavoratori, anche sull’uso di ammortizzatori sociali come la cassa integrazione, che sono finanziati con soldi pubblici. A Vinovo, per esempio, è stato messo in cassa a zero ore fino al 30 giugno il cuoco Giuseppe Crudo: “La motivazione è per pandemia, ma al mio posto è stata richiamata una persona che lavorava a Piobesi. Non c’è nessun problema a dividere il lavoro in momenti di difficoltà, ma andrebbe programmato” lamenta Crudo, che sospetta che abbia pesato il suo confronto con la direzione, più che l’emergenza sanitaria: “Mi avevano detto di occuparmi degli ordini, promettendo un incentivo economico che non è arrivato e che io non volevo rivendicare, semplicemente ho chiesto di non occuparmi più degli ordini, perché era diventato complicato. Ci sono state due riunioni e la cassa integrazione parte dalla data dell’ultima…”.