"La musica, come la vita, si fa insieme".
Sulle “note” di questa citazione, che deve il suo natale al musicista Ezio Bosso, danzerà l’articolo odierno.
Cari #poetrylovers, ormai conoscete abbastanza il mio animo per sapere che colgo spesso ispirazione dalla vita quotidiana, da ciò che vivo e respiro, per scrivere; amo essere abbagliata sulla via di Damasco da storie e bellezza che meritano di essere raccontate. In effetti, non mi smentisco neppure oggi: la visione pochi giorni addietro del docufilm “Le cose che restano”, dedicato proprio al defunto artista – torinese per nascita e cittadino del mondo per scelta – ha scatenato e ancora alimenta in me un flusso continuo di positività ed energia rinnovabile. Sì, rinnovabile; d’altronde, cosa ci si potrebbe aspettare da colui che ha fatto della creatività il fulcro attorno cui esistere?
“Incontrare” qualcuno, superando la barriera professionale e trovando accesso alla sua intimità, da invitati privilegiati, è sempre emozionante. Ezio, del quale ricordo con le lacrime agli occhi l’unico concerto a cui ho fatto in tempo ad assistere (nel luglio 2018 a Sordevolo), portava con sé un’aurea magica, misteriosamente potente, che sapeva abbracciare e fondere la sua essenza umana con la passione, al punto da renderle indistinguibili. Una consapevolezza invidiabile, una bussola che mai ha tentennato verso punti cardinali che non fossero il Nord, il suo Nord.
Ora, benché l’articolo non possa fare a meno di enfatizzare quanto avvicinarsi a questo musicista affamato (e affermato) sia un’esperienza meravigliosa, è un altro l’aspetto al quale vorrei dedicarmi. Un’altra la sfumatura, piena e calda, che sta alla base dell’opera d’arte che la vita di Ezio Bosso è.
Già. Perché messe da parte per un attimo le sue indubbie capacità, a colpirmi dell’artista è stato l’artista, l’uomo. Non tanto nel carattere quanto nel dinamismo. Un dinamismo interpersonale, sovranazionale, genuino e onnipresente in ognuno dei progetti nel quale lo ritroviamo coinvolto.
Insomma, come raccontato dalla pellicola di Giorgio Verdelli, a rendere grande Ezio è stato proprio il suo concepire l’arte come lavoro di gruppo, un continuo scambio e interscambio (anzi, oserei dire incastro) di essenze. Sì, perché qui si va ben oltre il mero discorso di efficienza, profitto e resa finale: a interessare, a fare la differenza è la ghiotta opportunità che il contatto umano crea: d’imparare, cambiare, esplorare, crescere e trasformare. Principalmente se stessi. Solo e sempre in seguito a questo processo, che tanto spontaneamente la natura fisica sviluppa quanto quella economica ignora e denigra, talenti e sonorità personali possono sincronizzarsi, entrare in sintonia e dar luce a quella meravigliosa vittoria che è l’armonia d’intenti, che è la fusione delle arti.
Linguaggi indipendenti che decidono di piegarsi senza spezzarsi, modellarsi senza compromessi umilianti, per incastrarsi meglio l’uno all’altro, in un tripudio di colori che tutto abbraccia e nulla esclude, se non la smania di protagonismo e l’individualismo sfrenato.
E sapete cosa ho trovato vivificante? Emozionante, pazzesco? Che più Ezio concretizzava la sua visione dell’arte proiettata all’insieme, all’inclusione e dunque mirava con le sue scelte a collaborare piuttosto che primeggiare, più ne usciva vincente e amato. Più la stima e l’attenzione verso di lui ne giovavano, in un rapporto direttamente proporzionale che ha il sapore della purezza.
La sua indole selvaggia, decisa ma umile lo ha reso il modello per eccellenza di artista, sia agli occhi (e alle orecchie) degli esperti di settore sia degli amatori, riconoscendogli un talento “al servizio della gente”, altruista nella pratica e non solo in teoria, a giudicare dalla sua vita, concepita come costante osmosi; dare e prendere, assorbire e rilasciare, cercare e lasciarsi trovare.
Ora, sfatiamo falsi miti: non esistono santi né eroi – lo dice anche la canzone di Bennato. Magari fosse, ma ancora non se ne sono avvistati, che io sappia. Tuttavia, la lezione che ho colto da Ezio Bosso e che vorrei trasmettere in piccola scala a voi, cari amici e #poetrylovers, la immagino in un modo tutto mio: avete presente quel momento esatto in cui si comincia a sentire la fragranza dolcissima e pungente di un dolce in forno (il mio preferito è la crostata, a proposito)? E l’attesa, che sembra interminabile, di assaggiarne la consistenza, sentirne il gusto e goderne profumo e aspetto?
Ecco, prendete questa nitida sensazione e ricordate che l’Arte, per chiamarsi tale, deve scatenare una reazione simile: aspettative, entusiasmo, fame. E ricordate pure che ogni sua sfumatura, si chiami essa Musica o Poesia o ancora Scultura, proprio come una torta è composta da più e più ingredienti e che solo il loro intreccio disinteressato può dar vita a qualcosa di nuovo: una versione rinnovata di sé stessa, arricchita dall’altro, dalla dimensione fuori di sé. Dal buono e bello che ci circonda, in termini di capacità e moralità.
Lo stesso vale per le relazioni; la verità è che siamo noi stessi la strada. La vita non è una linea retta, che si muove da un punto A a un punto B; siamo fatti per condividere e deviare la traiettoria. Se ci ostinassimo a frenare questa nostra stessa natura, finiremmo per perderne l’istinto, come tanti piccoli pacman intenti soltanto a ingurgitare, fagocitare e sfruttare quanto troveremo sul cammino.
L’ultimo concetto su cui vorrei lanciare una riflessione è quello dell’inclusione: troppo spesso ci hanno abituato ad abbinare il termine a contesti di difficoltà, alla volontà di pareggiare per tutti le possibilità che la vita offre, quasi fosse uno sforzo, una battaglia. Certo, è anche questo. Ma nei rapporti tra individui (a prescindere dalla condizione di partenza più o meno svantaggiata) mirare all’insieme, al piacere dell’unità e accogliere senza timore la naturale tendenza degli uomini ad appartenersi e “mischiarsi”, non dovrebbe essere considerato un punto di forza essenziale, se non il principale? L’orgogliosa evoluzione di una crescita emotiva finalmente incentrata sul valore personale? Ezio c’insegna che questa modalità funziona, che così facendo tutto o quasi diventa possibile! Provate a pensare per un attimo a cosa succederebbe se in famiglia, sul lavoro e nel tempo libero, tutti noi partissimo dal presupposto di avere sempre da imparare; se ci chiedessimo: “cosa posso metterci di mio?” e non “cosa posso ottenerne?”.
Provare per credere.
Allora v’invito, anzi C’invito: PROVIAMO! E FORSE CREDEREMO.
Protagonista poetica di oggi Immacolata Rosso: autrice casertana, lavoratrice green, futura editor e mamma sprint. Wonder Woman, insomma!
A tutti noi, il piacere di assaporare i suoi versi.
TAVOLA ROTONDA
Soli non si cresce
nella scenografia
di questo mondo.
Solo non dà frutto
il seme che non viene
coltivato.
C'è bellezza nella mano
che sorregge un'altra mano
e poesia
nel camminare insieme
verso strade che non vengono segnate.
Nessuno sullo scranno
è più importante,
nessuno è mai più ricco
a star sul podio.
Rispetto, tolleranza
ed umiltà
i tesori che contano davvero
alla tavola rotonda
di questa umanità.
Questo verso in particolare:
“…verso strade che non vengono segnate”
Non è forse vero che i sentieri battuti, per divenire tali, vanno prima scoperti e percorsi? Un passo dopo l’altro, più e più volte, INSIEME.
Pensateci su.
Alla prossima