Eventi - 18 marzo 2022, 10:25

"Qualcosa nell'aria": apre la collettiva di 13 artisti alla Fondazione Sandretto

Fino al 12 giugno, l'ultimo appuntamento del programma "Verso" studiato per coinvolgere le nuove generazioni. Tema centrale: la riappropriazione lo spazio pubblico

"Qualcosa nell'aria": apre la collettiva di 13 artisti alla Fondazione Sandretto

Alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo l'ultimo appuntamento del progetto "Verso". Apre fino al 12 giugno la collettiva "Qualcosa nell'aria". 13 artisti italiani e stranieri di diverse età che attraverso diversi media, dai video, alle installazioni fino alle fotografie si confrontano con il tema centrale della manifestazione, un corpo che si riappropria dello spazio pubblico.

Titolo evocativo sul punto di riflessione centrale di questa mostra: ovvero l'aria intesa come elemento che conduce a qualcosa che sta per accadere. E' al tempo stesso un invito a prestare attenzione a essa, aprendo così una parentesi climatica. "Non gli si dà abbastanza importanza, ma è un elemento che respiriamo e anche all’interno in cui si spostano elementi di forza" spiega il curatore Bernardo Follini. 

In mostra 

La collettiva si apre con la Project Room, in cui troviamo il video di Arthur Żmijewsk, "Democracies" che ci compone di una serie di filmati realizzati tra il 2008 e il 2009 quando l'Europa e il mondo intero stavano attraversando momenti di rivoluzione e quindi di manifestazione collettiva. Qui il concetto di democrazia è alimentato da credi e posizioni politiche che tengono vivo un dibattito politico, ma al tempo stesso mostrano dinamiche di estremismo che spesso non associamo al concetto di democrazia. 

All'ingresso troviamo ad accoglierci la grande installazione di Alberto Tadiello "HL", un enorme megafono collegato a tubi e a un compressore attraverso cui viene buttata fuori in modo violento l'aria, creato un forte boato. E' il frutto di una ricerca su studi militari bellici che ha creato armi sonore, segno di come sia il suono che l'aria possano essere impiegate come offensiva anche durante le manifestazioni. 

Nella sala principale troviamo l'opera di Ghita Skali, "Alibaba express episode 5". Consiste in pila di foglie di verbena, la quale entra nell’aria e tramite il suo odore attiva il tema delle memorie passate e individuali. Ghita, quando invitata a esporre, crea insieme all'opera una rete tra persone marocchine o della diaspora marocchina che si occupano del trasporto e della compravendita. Un circuito fatto di persone che condividono un background e che svela modalità di trasporto non usati da quelli più globali come la grande piattaforma cinese Ali Baba. Il titolo intende inoltre riappropriandosi di un termine troppo sterotipato.   

Sandra Mujinga è alla Sandretto con il suo lavoro "Touch face", tre alte sculture dell’artista congolese che lavora sul concetto di invisibilità e su quegli strumenti utilizzati per nascondersi dal controllo che riguarda anche la sfera digitale. Guardiani invisibili o opachi di cui non se ne riconosce l’identità, rivestiti di tessuto e uniformi proprio per nascondersi, in questo ispirandosi anche alla strategia di sopravvivenza degli animali. 

Sempre nella sala centrale un grande dittico di fotografie scattate nel 2007 da Andreas Gursky durante due manifestazioni in Corea del Nord. La prima è quella dell'esercito coreano, l'altra di bambini delle scuole entrambi coordinati in coreografie che rappresentano due aspetti della nazione: una di pace e una più aggressiva e militare. 

E si prosegue con il Collettivo Eclectic Electric Collective / Tools for Action che presentano l'ingombrante opera "El martillo". Un'importante struttura gonfiabile dalla forma di un martello che si rifà anche alla tradizione italiana radicale che ha esplorato l’aria come strumento nelle strade. Il gruppo francese utilizza i gonfiabili per costruire simboli nelle processioni e nelle manifestazioni di piazza. La scultura ad aria diventa simbolo o arma di difesa. Quella alla Sandretto è la riproduzione dell'opera realizzata nel 2010 per la manifestazione sulla giustizia climatica a Cancun. L'oggetto riprende la frase anonima "l'arte non è uno specchio attaveso cui guardare la realtà ma un martello con cui scolpirla", dunque l'arte che è parte attiva della nostra vita.

C'è poi l'installazione video di Rory Pilgrim, "The undercurrent". Rory ha lavorato con dieci giovani attivisti per il clima negli Usa e ha prodotto questo film da 50 minuti. L'artista li segue ed entra in contatto con le loro esperienze, ne emergono ritratti intimi privati, che vanno dalla famiglia all'identità di genere, e che si vanno a intersecare con le dinamiche di gruppo e all’emergenza climatica.  

Si passa quindi alla fotografia con il progetto "Care report" di Carolina Caycedo. Un lungo poster con un ritratto collettivo fotografico che rappresenta 35 gruppi ecofemministi di tutto il mondo. Gruppi accomunati dall'abbracciare appunto prospettive femministe ed ecologiche. Un collage che le ritrae durante le manifestazioni per la protezione della propria terra, muovendo accuse nei confronti delle corporation che acquistano per capitalizzare parti di terreno dove vivono popolazioni indigene. 

Un'altra opera video, questa volta di Marwa Arsanios "Whos afraid of ideology part 3" o "Microresistencies". Un video da trenta minuti in cui racconta il sud globale, stati come la Siria o Colombia, dove gruppi di donne locali vedono la propria vita messa a repentaglio dalle potenze occidentali. L'artista prova con questo progetto a capire le strategie messe in atto da queste stesse donne per difendersi.  

Arthur Jafa, già presente nella precedente mostra di "Verso", torna con l'opera "Black flag": una bandiera nera che riprende quella degli stati confederati, quindi ricordando come il suprematismo bianco negli Usa sia ancora predominante, traslata in nero, in riferimento alla rivendicazione del pensiero della blackness. Dietro, una bandiera americana più piccola che vive nel cono d’ombra dell’altra, simbolo che il passato statunitense ancora aleggia nell'aria. 

Infine, la mostra si chiude con Sara Leghissa e i suoi cartelloni da attacchinaggio "Fake uniforms". Nel 2021, in pieno lockdown, l'artista ha lavorato con le classi dei licei di Milano, interrogandoli sul tema della dad come momento spartiacque e momento violento dal punto di vista emotivo per un'intera generazione. Appese sulla parete, troviamo domande e spunti degli studenti in cinquanta grandi cartelloni che sono stati attaccati dall'artista nelle vie della città. 

Curata da Bernardo Follini e da Irene Calderoni, la mostra è stata realizzata all’intento del programma progettato e prodotto insieme all'assessorato politiche giovanili regione Piemonte, lanciato a maggio 2021 e che è dedicato a utilizzare arte per coinvolgere le nuove generazioni, in particolare i giovani tra i 15 e i 29 anni, nella vita politica sociale e collettiva. 

Il programma è suddiviso in diverse stagione, questo è il quarto e ultimo capitolo, preceduto da "Burning speech", "Memory Matters" e "Safe house". 

 

 

Chiara Gallo

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