E poe...sia! - 19 giugno 2022, 08:43

Educare all'autonomia, tra vocazioni e difficoltà

Analizziamo il ruolo dell'educatore, un soggetto quotidianamente in contatto con il disagio sociale. Per poi immergerci nei versi di Margherita Parrelli

Una delle opere realizzate dai bambini di Dynamo Art Factory

Una delle opere realizzate dai bambini di Dynamo Art Factory

Buona domenica #poetrylovers e grazie per essere stati al mio fianco durante questo secondo anno di rubrica, tra tematiche curiose, spero utili e decisamente poetiche!

L’articolo di oggi, il penultimo prima della pausa estiva, si soffermerà su una delle figure professionali che più suscitano la mia stima e il mio rispetto; non tanto per i successi quanto per la resilienza necessaria nonostante le sconfitte – vero pane quotidiano nel loro settore.

Svelerò tra qualche riga l’identità di questi misteriosi e silenziosi “ossi duri”.

D’altronde, sarete senz’altro d’accordo con me su un fatto che, guarda caso, coincide con uno dei proverbi più diffusi e saggi della nostra società (umana, più che moderna): “Il lavoro nobilita l’uomo”.

Sì, è così: che si creino ex novo opere d’ingegno, si fornisca un servizio, si produca un bene o lo si venda, tutto concorre alla formazione di un ciclo sano di dare-avere, in cui soggetti attivi e passivi (i fruitori, in pratica tutti noi) collaborano e partecipano al buon funzionamento del proprio ambiente. Sfido chiunque a immaginare un mondo senza qualcuno in grado di costruire strade, riparare perdite d’acqua, preparare cibo fresco ogni giorno, insegnare ai nostri figli, cucire ciò che indosseremo, guidare i mezzi pubblici sui quali saliremo, cantare canzoni che segneranno momenti cruciali della vita, smaltire rifiuti, produrre automobili affidabili per i viaggi che progetteremo, curare le malattie di chi amiamo…

Una mera lista di mestieri? Non solo: un elenco di ruoli e capacità. Un vero e proprio tesoro nascosto sotto i nostri occhi, al quale forse facciamo fin troppo poco caso.

Tra le tante gemme e le altrettante vocazioni – per coloro che hanno avuto la fortuna di poterle seguire nella sfera lavorativa – quella che andremo ad approfondire insieme merita uno spazio a sé, un riconoscimento nero su bianco da cui trapeli la parola più potente al mondo: grazie”.

Mai sentito parlare della figura dell’educatore professionale? Eccolo; lui il protagonista dell’articolo odierno.

Ormai dovreste conoscermi: sapete della mia grande curiosità e del desiderio di ricercare e, quindi, trasmettere in modo corretto gli argomenti che scelgo e analizzo. Dunque, bando alle ciance (che son sempre troppe! :-D) e godiamoci un breve excursus informativo in merito.

È soltanto nel 1984, con il decreto Degan (DM 10-2-84), che nasce ufficialmente la figura dell’educatore. In precedenza, le mille sfaccettature del suo ruolo – che spaziano dal socio-pedagogico al sanitario e sempre in stretta collaborazione con ognuno dei professionisti presenti – erano affidate al buonsenso e alle capacità soggettive, senza una reale preparazione alle sfide del settore né assistenza. Fino ad arrivare alla Legge IORI del 2017 (33 anni dopo!), con la quale viene finalmente riconosciuta una legislatura ad hoc, ufficiale, mirata alla tutela della professione educativa.

Ma di cosa si occupa esattamente un educatore? La definizione seguente spiega egregiamente il suo ruolo poliedrico: “Un operatore che attua specifici progetti educativi e riabilitativi nei servizi sociali e sanitari, con obiettivi educativo/relazionali e volti a uno sviluppo equilibrato della personalità, in un contesto di partecipazione e recupero della vita quotidiana” (sito internet anep.it).

Ora, non serve una scienza per comprendere quanto sia essenziale la funzione svolta da questi professionisti; non dimentichiamo che la stessa etimologia della parola “educare” (dal latino educere) altro non conferma se non l’impegno ad allevare (in un’ottica più familiare) e a tirar fuori quel che di potenziale risiede già in ognuno di noi. Per quanto la situazione possa essere sfavorevole.

E, infatti, l’educatore si offre in qualità di operatore formato e preparato a confrontarsi con una mole immensa di situazioni limite (case protette, minorenni allontanati dalla famiglia di origine, comunità di recupero per dipendenze, centri diurni, disabilità psico-motoria, ritardi nello sviluppo e nell’apprendimento, Dsga, carceri, reparti geriatrici…).

Insomma, un soggetto quotidianamente in contatto con il disagio sociale; un disagio che crea proprio la società in cui vive, sempre un passo indietro rispetto al bisogno. L’educatore riconosce quel bisogno, invece, ne studia gli effetti e le manifestazioni, vi si approccia con rispetto e fermezza, determinato a raggiungere il solo obiettivo di creare inclusione e condurre la sua utenza a un “conveniente” (e sufficiente) livello di maturità intellettivo-morale.

Ciò che dall’esterno appare difficile per lui diventa sfida e motivazione all’impegno, alla continua ricerca di appigli positivi da cui partire e a cui aggrapparsi, così da aprire ognuna delle porte a lui affidate, fosse anche inizialmente uno spiraglio, sino a una visione realistica della “terra promessa”: quel margine di miglioramento da scoprire passo passo, accanto al paziente. Una porta dopo l’altra, con le sue complessità e peculiarità, potenziale portale d’accesso al cambiamento o, più semplicemente, alla consapevolezza dei propri limiti e punti di forza.

Questo cammino, psicologicamente provante eppure ovvia conseguenza dell’infinita varietà dell’uomo, altro non fa che arricchirlo nello spirito e nelle abilità, modellandolo alla gestione di emozioni e comportamenti – spesso autodistruttivi.

Una guida costante e attenta, un approccio costruttivo e stimolante (studiato in base al servizio in cui opera e al background di provenienza) ben differente dal ruolo di un insegnante: per quanto importante, non si tratta soltanto di trasmettere nozioni e dati bensì di preparare il terreno all'autonomia personale degli ospiti.

Riusciamo a immaginare lo stress emotivo e l’energia che richiede il mantenimento di un simile atteggiamento positivo? Senza contare la necessità di empatizzare sì ma con la giusta distanza, in modo tale da non essere “assorbiti” e non subire le vicende sulla pelle quasi fossero le proprie. Il tutto troppo spesso accompagnato da realtà assistenziali in difficoltà economico-organizzativa, senza mezzi o risorse; l’educatore, in simili circostanze, deve adattarsi a lavorare con quel che ha oppure proporre e valutare in team migliorie dell’assetto strutturale.

Ripetiamo ancora una volta alcune delle parole chiave più significative: #progetti, #obiettivirelazionali, #sviluppoequilibrato, #recupero, #inclusione, #preparazione, #energia, #sfida, #cammino, #AUTONOMIA.

Non so voi, ma a me salta subito all’occhio la portata di questa professione e la forza morale necessaria affinché la responsabilità di questi percorsi riabilitativi non schiacci entusiasmi e dinamismi individuali.

Persone che aiutano persone, consce dei fallimenti in discesa e delle vincite in salita, mossi dal desiderio viscerale di “lasciare il mondo un po’ migliore di come lo si trova” (Robert Baden-Powell) e di non adeguarsi a una società che emargina qualsiasi cosa si discosti dagli standard o non possa essere definito.

Compagni di viaggio verso la crescita reciproca, benché su piani differenti.

E ora, momento #poesia!

L’autrice di cui ho il piacere di riportare i versi è Margherita Parrelli: laureata in filosofia, giornalista, insegnante, consulente familiare, anima rara.

Dalla sua silloge “Incontro” (La Vita Felice Editore):

AFFIDARSI

C’è la rondine nel cielo sereno di primavera
il gabbiano accovacciato sui coppi del camino
la coppia di piccioni che tuba sul tetto
e il glicine ha finalmente dato i suoi primi fiori

Come celebrare la quiete dopo la tempesta
quando sei stato tu a scrivere l’ultima parola
l’affacciarsi incredulo il passo timoroso
lo stropicciarsi del tempo il suo sciogliersi
nell’attimo del risveglio, appena poco prima
appena poco dopo

Eppure mi domando dove sia l’altrove
quale caverna o dirupo l’abbia ingoiato
all’ombra di quale colonna sia permesso
imparare l’arte del restare insieme

[…]

Questo verso in particolare:
l’affacciarsi incredulo, il passo timoroso

Non è forse vero che i nostri primi passi non sarebbero un così lieto evento se non ci fosse qualcuno lì accanto a tenerci per mano e vegliare su di noi?

Che valga anche nella vita?

Pensateci su.

Johanna Poetessa

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