Nuove Note - 15 gennaio 2023, 10:48

Musica, Jacopo Perosino: "Scrivere musica è una fantasmagoria, un'ombra cinese"

Il cantautore torinese, astigiano di nascita, racconta: "Mi sono avvicinato alla musica per colmare vuoti di una solitudine pre-adolescenziale da figlio unico. La mia Torino? E' San Salvario"

Jacopo Perosino

Jacopo Perosino

Jacopo Perosino nasce ad Asti per poi trasferirsi a Torino, si avvicina alla musica da adolescente alternando la musica al basket. Dopo aver fatto parte del collettivo Noàis si dedica al suo progetto da solista pubblicando due dischi. A ispirare i suoi brani è il passato che Jacopo storicizza e utilizza per trasmettere dei messaggi. B.I.S., Baciarsi in silenzio, è il suo ultimo disco nel quale si possono ascoltare undici brani. Undici storie che girano intorno al tema della paura. Differenti tipi di paura, da quella dell'amare a quella di morire o di lottare, di fallire, di spezzare catene ataviche, di perdere la motivazione; di tradire ideali, radici, compagni.

Come si è avvicinato Jacopo Perosino alla musica?

Potrei raccontarti che mio nonno era un musicista della prima scena jazz astigiana, quei visionari che Paolo Conte ha definito "Scimmie del jazz", che non l'ho mai conosciuto perché è scomparso prematuramente e che mi sono avvicinato alla musica per incontrarlo, in qualche modo. Ma sarebbe falso, ancorché siano veri tutti i fatti riportati. La verità è che mi sono avvicinato alla musica per colmare vuoti di una solitudine pre-adolescenziale da figlio unico.

Hai alternato negli anni la musica al teatro, si uniscono le due arti nella tua musica?

Non lo so ma mi piace pensarlo. Sono attratto dalla fantasmagoria, dal coup-de-theatre, dal mago che fa comparire oggetti vari dal cilindro allo scoppio di un petardo. L’amore per il teatro è nato piuttosto tardi, sicuramente dopo quello per la musica: un giorno assistetti ad una Patente di Pirandello e qualcosa mi esplose dentro. Sapevo di non voler fare l’attore ma allo stesso tempo che il teatro avrebbe colorato in qualche modo la mia vita.

Quando e come è arrivato il momento di dare il via al tuo progetto da solista?

È stata una naturale conseguenza del percorso fatto con il collettivo Noàis. Tanto che sul mio primo disco solista hanno suonato molti dei più storici componenti Noàis. Da un altro punto di vista sentivo la necessità di viaggiare, incontrare situazioni e sensibilità diverse nella musica, umanamente e geograficamente. Da questi intenti sono nati due dischi solisti ma in futuro non è detto che il vento non torni da quelle parti.

Cosa ispira la scrittura dei tuoi testi?

Direi il passato. A volte recente, altre più remoto. Ho bisogno di storicizzare gli eventi e utilizzarli per trasmettere un messaggio. Le canzoni che scrivo non sono mai vere anche se, tendenzialmente, tratte da fatti completamente veritieri e reali. È sempre un discorso impressionista, una fantasmagoria, un’ombra cinese. Talvolta il trucco si vede anche ma non è importante, conta lo stupore di un attimo che è il tempo di una canzone.

B.I.S., Baciarsi in silenzio, è il tuo ultimo album che tratta il tema della paura. Come viene raccontata questa attraverso le canzoni?

Attraverso le paure altrui, eventi decisamente lontani dalla mia vita che però mi hanno permesso di esorcizzare le mie. Ad esempio una canzone, “Fuga in Papillon”, racconta le gesta dell’orso M49 che hanno continuato a rinchiudere in recinti sempre più sofisticati e lui riusciva, in qualche modo, a sfuggire da tutti. L’elogio della fuga, l’apologia della libertà. Avevo degli appunti scritti da tempo perché sapevo che prima o poi mi sarebbe “uscito qualcosa”. È successo durante il lockdown quando mi sentivo, come tutti, in gabbia. Credo che la musica debba essere utile per esorcizzare, sublimare, colmare vuoti e rilasciare liquidi, sudore o lacrime è indifferente. Se perde questa attitudine, rimane sottofondo per centri commerciali.

La tua Torino musicale e non

Da astigiano trapiantato, per me Torino è stata prima di tutto il primo quartiere che mi ha accolto: San Salvario. San Salvario è il posto che più somiglia al concetto di casa anche se non riesco a pensare a Torino come casa mia. C’è un brano nel disco, “Luci Sudamericane”, che racconta di due innamorati che ancora non sanno di esserlo, ambientato al Biberon di San Salvario, locale che mi lega ad un ricordo privato importante e che purtroppo ha chiuso da qualche tempo. Musicalmente Torino mi piace quando non cerca di copiare tristi mode musicali che sembrano funzionare a Milano, Roma e Bologna. Se negli anni ‘90 Torino ha masticato e risputato la new wave, il reggae/rock steady e l’elettronica, oggi io vedo una vocazione “tribale” nell’underground: una scena jazz consolidata di alto livello e crescenti tesori musicali nel funk, nel soul e nel blues. Poi io, per mio gusto, ricerco anche tanto dalla world music: Da Napoli al Sudamerica, dal klezmer al manouche fino alle musiche di derivazione araba. Insomma penso ci siano tante cose interessanti, bisogna soltanto andare a cercarle e penso sia questo il bello: tornare ad una ricerca dell’ascolto, a scoprire, a farsi emozionare dall’altrove.

News, live in programma, appuntamenti

Giovedì 12 gennaio ho suonato a Torino da Off Topic per Situazione Festival, una bella rassegna nata dall’underground con gli intenti di cui parlavo nella risposta precedente. Il 24 marzo suonerò al Diavolo Rosso di Asti e sto cercando di capire come sarà la primavera-estate. Potrebbero riaprirsi anche le porte dell’estero ma è ancora prematuro. Cercherò di aggiornare i social non appena avrò conferme. Vediamoci in giro.

Federica Monello

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