L’ennesimo colpo di stato africano può rivelarsi foriero di sviluppi internazionali più di quanto non avvenga di solito. Il potere è passato di mano nel Niger, Paese dell’Africa occidentale coperto in gran parte dal Sahara e ricchissimo di materie prime. La sua posizione geografica lo rende un tassello importantissimo del risiko continentale. In altre parole, stavolta potremmo assistere a un effetto domino che coinvolgerebbe persino gli Stati Uniti.
Come riferisce il sito Strumenti Politici, gli USA vogliono conservare lo status quo nigerino essendo uno dei maggiori clienti dell’uranio locale. Il materiale serve all’energia nucleare civile, dunque alla produzione di elettricità. E poiché l’altro grande fornitore di uranio e di combustibile nucleare è la Russia, è facile capire come Washington non voglia ulteriormente peggiorare la sua scomoda condizione di cliente del “nemico”.
La Francia è messa pure peggio, perché il Niger è il suo primo fornitore di uranio e il nucleare la sua fonte principale di energia. Qualunque bando alle esportazioni che il nuovo governo minaccia di attuare sarebbe fatale per l’economia francese. Il fatto stesso che vi siano voci su un futuro divieto di export o su diverse condizioni contrattuali ha fatto salire il costo del prezioso materiale. In Niger sono stufi di cedere le materie prime alla ex “madrepatria” ricavandone misure guadagni, mentre Parigi si arricchisce.
Ma Francia, Stati Uniti e persino l’Italia hanno truppe di stanza sul territorio nigerino. Tutti ufficialmente in missioni di addestramento o di contrasto del terrorismo islamico, ma è risaputo che soprattutto i francesi tengono là i militari per proteggere le miniere di uranio. Roma ha già cominciato a riportare a casa i suoi uomini. Parigi e Washington, invece, li faranno intervenire per rimettere l’ex presidente del Niger al suo posto?