E poe...sia! - 21 aprile 2024, 10:22

Il Silenzio delle Sirene

Lo sentite?

Aprile (illustrazione di Angelo Ruta, dicembre 2023)

Aprile (illustrazione di Angelo Ruta, dicembre 2023)

Il mito più interpretato in letteratura è senza dubbio quello di Ulisse. E neppure l'enigmatico Franz Kafka ha resistito al desiderio di darne una sua versione. Ovviamente, in modo del tutto rivoluzionario.

Il suo racconto breve “Il silenzio delle sirene” risale al 1917; non lo avevo mai né incontrato né letto, prima che un caro amico me ne parlasse. Parecchio tempo fa. Ricordo ancora l'immediata curiosità e il forte ascendente che il semplice suono del titolo aveva esercitato su di me. Vuoi per l'infinito fascino catalizzato dal personaggio di Ulisse, vuoi per le mille versioni contrastanti sulla figura mitologica della sirena. Buona o cattiva? Si difende o attacca? Umana o animale?

E così, oggi, per cambiare un po' le carte in gioco, ho deciso di impostare il format dell'articolo in modo diverso dal solito.

Avendo finalmente assaporato il racconto in oggetto, vorrei farvene dono. Lo riporto perciò di seguito, nella sua interezza. Ci ritroviamo più tardi, in calce, per condividere insieme qualche riflessione!

Dimostrazione del fatto che anche mezzi inadeguati, persino puerili, possono servire alla salvezza.

Per proteggersi dalle Sirene , Odisseo si tappò le orecchie con la cera e si lasciò incatenare all’albero maestro della nave. Naturalmente tutti i viaggiatori avrebbero potuto fare da sempre qualcosa di simile, eccetto quelli che le Sirene avevano già ammaliato da lontano, ma era risaputo in tutto il mondo che era impossibile che questo potesse servire.

Il canto delle Sirene penetrava dappertutto e la passione degli incantati, avrebbe spezzato ben più che catene e albero.

Odisseo non ci pensò, benché forse lo sapesse per esperienza .

Confidava pienamente in quel poco di cera e in quel fascio di catene, e, con l’innocente gioia per i suoi astuti sotterfugi, andò direttamente incontro alle Sirene.

Ora, le Sirene hanno un’arma ancora più terribile del canto, cioè il silenzio.

Non è certamente accaduto, ma potrebbe essere che qualcuno si sia salvato dal loro canto, ma non certo dal loro silenzio.

Al sentimento di averle sconfitte con la propria forza, al conseguente orgoglio che travolge ogni cosa, nessun mortale può resistere.

E, in effetti, quando Odisseo arrivò, le potenti cantatrici non cantarono, sia che credessero che solo il silenzio potesse vincere un così abile avversario, sia che, alla vista dell'estasi nel volto di Odisseo, che non pensava ad altro che a cera e a catene e a un enorme cavallo di legno sulla piana di Troia, si dimenticassero proprio di cantare.

Ma Odisseo tuttavia, per così dire, non udì il loro silenzio, e credette che cantassero e di essere lui solo protetto dall’udirle.

Vide fugacemente sulle prime il movimento delle loro gole, il respiro profondo, gli occhi pieni di lacrime, le bocche socchiuse, ma credette che questo facesse parte delle melodie che non udite risuonavano intorno a lui.

Ma tutto ciò sfiorò appena il suo sguardo fisso nella lontananza, le Sirene sparirono davanti alla sua determinazione e, proprio quando era più vicino alle Maliarde, non seppe più niente di loro.

Esse però – più belle che mai – si stirarono e si girarono, lasciando ondeggiare al vento le loro orride capigliature e graffiavano furiosamente con gli adunchi artigli gli scogli.

Non volevano più sedurre, volevano solo farsi penetrare il più a lungo possibile dallo sguardo dei grandi occhi di Odisseo.

Se le Sirene fossero dotate di consapevolezza, quella volta sarebbero state annientate.

Ma sopravvissero, e solo Odisseo sfuggì a loro.

A questo punto, si tramanda ancora un’appendice di quest'antica leggenda.

Odisseo, si dice, era così astuto, era una tale volpe, che neppure la Parca, filatrice del destino, poteva penetrare nel suo intimo.

Forse egli, benché questo non si possa capire con l’intelletto umano, si è realmente accorto che le Sirene tacevano e non ha fatto altro che opporre, sia a loro che agli Dei, come se fosse uno scudo, la finzione precedentemente narrata”.

Tiriamo le somme, adesso: ipotesi, speculazioni, libera interpretazione!

Partendo dall'espediente della cera, il narratore ci rivela che l'idea di tapparcisi le orecchie non è da considerarsi chissà quale astuzia: qualsiasi viaggiatore avrebbe potuto pensarci e, inoltre, l'escamotage non avrebbe comunque salvato la vita di Ulisse. Perché? Il canto sarebbe dovuto essere talmente seducente da spingerlo a spezzare e neutralizzare ogni ostacolo tra lui e le sirene, catene e alberi maestri compresi.

Proseguiamo nel racconto. Le sirene sfoggiano un’arma ben più potente della voce: il silenzio. “Ulisse – dice Kafka – non udì il loro silenzio, credette che cantassero e immaginò che lui solo fosse preservato dall'udirle”. L’eroe greco nota gli occhi delle sirene riempirsi di lacrime e, finalmente giunto vicino a quei mitici esseri, “non sa più niente di loro” e di se stesso.

In armonia con ogni suo scritto precedente, Kafka chiede al lettore di risolvere un enigma. Cosa rappresenta questo “silenzio delle sirene”? Il silenzio del mondo, forse? Oppure il silenzio di Dio, da intendersi come assenza di una dimensione spirituale nella vita dell'uomo? Nel racconto di Kafka tutto è silenzio.

L'Odissea narra che le sirene incantarono Ulisse rivelandogli che la loro isola era sede del suo destino, il termine di quel lungo viaggio. Come, dunque, avrebbe potuto resistere il nostro prode esploratore alla possibilità di conoscere il proprio fato, il senso della vita, scoprire perché si nasce, si vive e si muore? Tutti i misteri del mondo a portata di mano! Eppure, qui, le sirene tacciono mentre Ulisse si convince cantino. Come si spiega? Kafka vuole forse descrivere lo smarrimento dell’uomo di fronte a un mondo che non riesce più a comprendere, in cui si sente estraneo e solo? Chi è davvero Ulisse?

Kafka ci ricorda un dettaglio fondamentale, cioè che Ulisse è bugiardo. Cito testualmente: "La tradizione aggiunge un’appendice. Ulisse, dicono, era così ricco di astuzie, era una tale volpe che nemmeno il Fato poteva penetrare nel suo cuore. Può darsi –benché ciò non riesca comprensibile alla mente umana – che realmente si sia accorto che le sirene tacevano e in certo qual modo abbia soltanto opposto a loro e agli dei la sopra descritta finzione".

Che significato dovremmo dedurne? Che significato ne deduco io? Probabilmente che, se sentiamo di non appartenere a questa società, se non troviamo il senso né le risposte alle invisibili domande che l'esistenza pretende, non ci resta altro che fingere. Di aver scovato, digerito e compreso l'accezione profonda dei misteri intorno a noi. Non ci resta altro che scrivere storie, bluffare che siano esse stesse la soluzione ai dubbi. Ulisse, in questo, è maestro. Non incarna forse il ruolo del grande mentitore come pure del grande fabulatore? Similmente, la letteratura è menzogna, bugia bianca, l’illusione benevola a conferma del nostro essere vivi. Ed è anche il grande silenzio: quello dello scrittore che traccia segni sulla pagina bianca e quello del lettore, che interroga la pagina bianca. Pensando a Kafka, chino a scrivere nel cuore della notte, non riesce difficile immaginarlo mentre si mette in ascolto del silenzio, non solo di Praga ma del mondo intero.

C'è ancora un'ultima novità con cui lo scrittore arricchisce la leggenda di Ulisse: nella sua personale figurazione, non è l’eroe greco ad essere incantato dalle sirene, bensì esse stesse a subirne il fascino (“Non avevano più voglia di sedurre, volevano soltanto ghermire il più a lungo possibile lo splendore riflesso dagli occhi di Ulisse”).

Mi piace pensare che Kafka sia giunto alla mia stessa conclusione romantica: nessun luogo è più seducente o silenzioso del mare. Se pure ne fossimo lontani, potremmo sempre aprire un libro e ascoltarne il silenzio, misterioso quanto questo racconto.

La poesia di oggi è affidata alla pungente penna di Paolo Castagno: autore carignanese, promotore culturale e fondatore del festival "Poeti in Aia".

Mentivo a me stesso, d'aver a volte

Udito il canto delle sirene

Naufraghe nel mare della memoria

(…)

stavano mute ad ammirare

il sorgere del sole, giungere le baleniere,

nell'acqua salata affondare le stelle.


Legato anch'io ai disastri della memoria

Perdevo conoscenza dei miei déi bruciati.

Le magre carcasse delle sirene con l'orecchio negato al suono

dalla cera d'api, guardavano

annoiate Ulisse passare

(...)

Anche loro negate ad uno scoglio battuto,

non si negarono il richiamo sognato d'altre terre d'altri mari

d'altre terre, d'altri mari,

d'altri mari

(Il silenzio delle Sirene)

Questo verso in particolare:

Legato anch'io ai disastri della memoria

Che siano loro a renderci sordi al canto delle sirene?

Pensateci su.

Alla prossima

Johanna Poetessa

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