Economia e lavoro - 17 febbraio 2025, 07:00

“Musi” Ispiratori

Quando il gatto diventa il compagno ideale degli scrittori

“Musi” Ispiratori

Indipendenti, fieri, a volte quasi magici. I gatti da sempre popolano l’immaginario collettivo, associati a mistero, superstizione, streghe e sortilegi. Al di là del mito, però, il gatto è un animale domestico dalla personalità affascinante. Intelligente, sensibile, riservato e capace di affetto autentico, anche se discreto. Sarà per questa natura sfuggente e profonda che molti scrittori lo hanno scelto come compagno di vita e di lavoro. Tra una macchina da scrivere e una pila di manoscritti, è facile immaginare un gatto accoccolato sulla poltrona, nella penombra di una stanza piena di libri.

Nel corso dei secoli, il mondo letterario ha avuto una vera e propria venerazione per i felini. Baudelaire, che celebrava il mistero nei suoi versi, li amava profondamente. Così come Miguel de Cervantes, Italo Calvino, Joyce Carol Oates e Charles Bukowski, anticonformista per eccellenza, ma tenero con i suoi gatti. Neil Gaiman, autore di successi internazionali come American Gods e Coraline, ne ha diversi. Si chiamano Pod, Zoe, Princess, Coconut e Hermione. Anche Mark Twain si affezionò al suo “Bambino”, mentre Haruki Murakami scrisse il suo primo romanzo con un gatto sulle ginocchia e una birra in mano. In seguito, arrivò a dedicargli persino il nome del suo jazz club a Tokyo: Peter Cat. Luis Sepúlveda vedeva nei gatti un riflesso della propria idea di libertà: li definiva “misteriosi, pieni di dignità e molto indipendenti”. Tra gli altri estimatori figurano Cechov, Walter Scott, T.S. Eliot e Alexander Dumas, che pretendeva che il gatto fosse trattato con rispetto, alla stregua di un aristocratico. Anche le scrittrici non sono da meno. Elsa Morante, figura centrale della letteratura italiana del Novecento, lasciò in eredità i suoi gatti all’amica e collega Natalia Ginzburg. Patricia Highsmith, regina del giallo psicologico, era notoriamente innamorata dei suoi gatti siamesi. E poi c’è lui, Ernest Hemingway, probabilmente il più celebre amante dei gatti nel mondo letterario. Ne accudì decine, arrivando a costruire per loro una torre nella sua casa di Key West, oggi divenuta museo. Lì vive ancora una colonia di circa settanta gatti, molti dei quali polidattili – con sei dita per zampa – come Snowball, la gatta preferita dello scrittore. "Ai gatti riesce senza fatica ciò che resta negato all’uomo: attraversare la vita senza fare rumore", scriveva. “I gatti dimostrano di avere un’assoluta onestà emotiva.”

Forse il segreto di questo legame così stretto sta nella natura stessa della scrittura. Un atto solitario, introspettivo e silenzioso. Il gatto è l’unico animale che sembra comprenderlo davvero. Non chiede, non disturba, ma resta lì, vicino. E talvolta, ispira. Compagno discreto, osservatore silenzioso, il gatto è, per molti scrittori, il perfetto alter ego domestico. Un animale che, come chi scrive, ama la quiete, la libertà e, soprattutto, la profondità dei pensieri non detti.

Laura Graziano

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