Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un lettore cavourese sull’inaugurazione del nuovo MacDonald’s di via Pinerolo a Cavour.
A Cavour aprirà un fast food. Non serve dire il nome, lo conosciamo tutti. C’è chi è contento, chi è curioso, chi non dice nulla. Io invece sento il bisogno di parlare. Non per fare polemica, non per andare contro a qualcuno, ma perché in mezzo all'entusiasmo generale forse vale la pena fermarsi un momento e chiederci: ma davvero è questa la direzione che vogliamo prendere?
Viviamo in un paese ricco di cultura gastronomica, di persone che sanno ancora fare il pane, i salami, le confetture, i formaggi. Abbiamo frutteti, mercati contadini, trattorie che sanno raccontare la storia con i piatti. A Cavour non si mangia solo per mangiare: si condivide, si ricorda, si tramanda. Abbiamo Tuttomele, Festa Nazionale, che è il simbolo del nostro legame con la terra. E adesso, proprio qui, sulla strada che porta in paese, arriva una scatola colorata, uguale a centinaia di altre nel mondo, che propone un’idea di cibo pronto all’uso, standardizzato, impacchettato. Confezionato bene, certo. Ma senza alcun legame con noi, con chi siamo, con cosa vogliamo diventare (?).
Dicono che sia comodo. Vero. Ma a quale prezzo? Il prezzo lo pagano i negozi che chiudono perché non possono competere, lo pagano i ragazzi che lavoreranno lì con contratti precari e turni infiniti, lo pagano le nostre abitudini, che cambiano senza accorgercene. Lo paga l’aria che respiriamo, il paesaggio che si trasforma, il paese che smette di assomigliare a sé stesso. Cavour non è una zona industriale, non è un’uscita autostradale, non è “dove capita”. È Cavour. E anche se ci sembrano cose piccole, sono queste scelte che fanno un’identità. Una struttura così, con la sua insegna gigante, modifica la percezione di un luogo. E noi ci adattiamo, lentamente. In silenzio.
Non voglio vietare niente. Voglio solo che la gente scelga con consapevolezza. Quando mangiamo un panino veloce, non stiamo solo mangiando. Stiamo dicendo “questo modello mi va bene”. Ma è davvero quello che vogliamo? È davvero il futuro che immaginiamo per i nostri figli, per i nostri nonni, per le nostre tavole?
Siamo liberi, certo. Liberi anche di difendere ciò che ci appartiene. Perché ogni euro speso qui dentro è un euro tolto al panettiere che ti saluta per nome, al barista che sa come ti piace il caffè, al contadino che vende le sue mele in piazza. E mentre inauguriamo con la banda un fast food, quanti negozi storici chiuderanno nel silenzio?
Parlarne non è inutile. È il primo passo per non accettare tutto passivamente. Per dire che sì, forse il fast food aprirà, ma noi possiamo ancora scegliere da che parte stare. Possiamo decidere se essere consumatori o cittadini. Se restare spettatori o tornare protagonisti del nostro territorio.
Io scelgo di stare dalla parte di Cavour. Di quello vero, quello imperfetto ma autentico. Quello fatto di persone, mani, storie, sapori. E spero che, anche solo per un momento, anche tu possa fermarti a pensare se è davvero questa l’aria che vuoi respirare domani.