Vittima dello stress, delle prestazioni e di un errore: una rider torinese è a casa senza stipendio. Tutto è iniziato con un guasto alla bici elettrica: in Italia i dipendenti delle aziende di food delivery utilizzano il proprio mezzo, senza nessuna assicurazione né benefit. Se viene rubato non possono lavorare fino a che non ne acquistano un altro. E lo stesso vale per i guasti. Sara (nome di fantasia) a febbraio è dovuta passare dall'utilizzo di una bici elettrica a una bici muscolare, ma l'applicazione che assegna gli ordini non ha registrato il cambio.
Prestazioni in calo, il sistema non perdona
Da quel momento le prestazioni sono diminuite, mentre nell'assegnazione dei turni non veniva preso in considerazione il bisogno di riposo. Se un rider deve fare troppa strada per ritirare e consegnare un ordine, può chiedere che questo venga assegnato a qualcuno di più vicino, se l'ordine supera un certo chilometraggio. Questi limiti variano per ogni tipo di mezzo e ovviamente sono più bassi per una bici muscolare che per una bici elettrica, ma nel caso di Sara, non avendo registrato il cambio di bicicletta, le veniva rifiutata la riassegnazione.
Dall'ansia, all'incidente
"Facevo otto ore al giorno con una pausa nel mezzo, e se finisci lontano da casa c'è appena il tempo di rientrare e ripartire, o non rientrare affatto - ha raccontato la rider - I coordinatori non mi rispondevano, ho iniziato a soffrire di attacchi d'ansia e prendere qualche giorno di malattia, ma dopo un incidente ho capito di non stare bene e che non ero in grado di continuare in questo modo". Sara inoltre è una madre e faticava a conciliare la propria salute, il lavoro e la cura del figlio.
L'errore di comunicazione
A questo punto Sara ha raccontato che c'è stata la richiesta di una visita medica per stabilire l'idoneità o meno a lavorare, terminata con uno stop di tre mesi da parte del dottore. L'azienda a luglio le manda una lettera dov'è scritto che non è più idonea ma sarà pagata durante questo periodo. Ad agosto, però, l'amara sorpresa: lo stipendio è dimezzato e l'azienda, una volta contattata, risponde che il contratto della logistica non prevede in questi casi di continuare a pagare lo stipendio. Un "refuso" nella lettera spedita alla dipendente, che però ha avuto gravi conseguenze: "Mi sono fidata di quello che c'era scritto e non ho utilizzato le tante ore di ferie che avevo o richiesto la mutua che mi sarebbe spettata - ha spiegato - Sono in contatto con un sindacato per provare a farmi rimborsare, i miei stati d'ansia sono causati anche per le condizioni di lavoro".