Attualità - 25 settembre 2025, 15:50

Abbazia di Novalesa, il restauro che guarda al futuro

La Città metropolitana di Torino, proprietaria dell’Abbazia, ha scelto di utilizzare le risorse del bando PRIMa per garantire una cura continuativa del complesso

Foto d'archivio dell'abbazia di Novalesa

Foto d'archivio dell'abbazia di Novalesa

Le nuove frontiere del restauro non puntano più all’intervento “in urgenza” sulle opere, ma alla conservazione preventiva: un approccio che mira a evitare il deterioramento futuro di affreschi e strutture intervenendo sull’ambiente circostante e sul contesto. È questa la filosofia che ha guidato i lavori all’Abbazia di Novalesa nell’ambito del bando PRIMa – Prevenzione, ricerca, indagine, manutenzione, ascolto per il patrimonio culturale, promosso dalla Fondazione Compagnia di San Paolo. Un percorso che ha portato a risultati esemplari, presentati durante la giornata di restituzione Gli intonaci dipinti del complesso abbaziale di Novalesa. Dal restauro alla conservazione preventiva, che ha riunito istituzioni, tecnici e comunità monastica.

La Città metropolitana di Torino, proprietaria dell’Abbazia, ha scelto di utilizzare le risorse del bando PRIMa per garantire una cura continuativa del complesso, introducendo piani di manutenzione programmata e superando la logica degli interventi emergenziali. Al restauro tradizionale si sono affiancati indagini ambientali e termografiche, lo studio delle strutture murarie e un monitoraggio costante, con particolare attenzione alla Cappella di Sant’Eldrado. Una strategia che riduce i rischi di degrado e promuove una gestione sostenibile.

“Un intervento di questo tipo – ha spiegato Laura Fornara, responsabile della missione Custodire la bellezza, Obiettivo Cultura della Fondazione Compagnia di San Paolo – è stato possibile grazie alla concertazione istituzionale e alla disponibilità dei monaci, che hanno accompagnato i lavori giorno dopo giorno”.

Il priore Michael Davide Semeraro, Abbazia di Novalesa, ha sottolineato come la comunità viva l’Abbazia non come rifugio ma come luogo di custodia condivisa: “Durante questa esperienza abbiamo potuto contare sul supporto di persone professionalmente molto preparate e sempre disponibili”.

Il 2026 sarà un anno di rilievo: ricorrerà il 1300° anniversario dalla fondazione dell’Abbazia, avvenuta nel 726 d.C., e da gennaio prenderà avvio un calendario di iniziative dedicate alla comunità locale. Jacopo Suppo, vicesindaco della Città metropolitana di Torino, ha ricordato come solo pochi anni fa l’Abbazia rischiasse di rimanere senza monaci e quindi di chiudere. “Oggi invece questo bene eccezionale è aperto e presidiato grazie alla presenza della comunità monastica. Dobbiamo continuare a fare squadra, come è stato finora, per poterlo mantenere a disposizione di tutta la cittadinanza”.

Valeria Moratti, della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Torino, ha ripercorso la lunga storia dei monitoraggi e degli interventi sul complesso abbaziale, iniziati a metà degli anni Settanta, poco dopo che la Provincia di Torino ne divenne proprietaria: “PRIMa – ha spiegato – ha rappresentato una svolta. La manutenzione ordinaria purtoppo ha un difetto: non ha la visibilità e l’impatto di un restauro di una singola opera, richiede perciò un importante lavoro di condivisione”.

Il progetto ha interessato quattro aree del complesso: la Cappella di Sant’Eldrado, la chiesa abbaziale, la Camera Stellata e gli esterni della Cappella di San Michele. “Il restauro di un’opera, in un certo senso, è sempre un trauma, mentre la conservazione preventiva è un vero e proprio ribaltamento della logica di intervento e spesso consente grandi risparmi” ha spiegato Maria Concetta Capua di Koinè Conservazione Beni Culturali a cui è stata affidato per la parte tecnica il progetto.

I monitoraggi termografico e ambientale e lo studio delle strutture murarie sono state svolte dal Dipartimento interateneo di scienze, progetto e politiche del territorio  del Politecnico di Torino e l’importanza delle indagini effettuate per trovare le soluzioni più appropriate sono state testimoniate dagli interventi di Monica Volinia del Laboratorio di Diagnostica non distruttiva e di Maurizio Gomez Serito.

Accanto agli interventi di studio e restauro sono stati realizzati anche progetti di disseminazione, che hanno reso i risultati accessibili e coinvolgenti per il pubblico, rafforzando il legame tra la comunità e uno dei luoghi più significativi della Valle di Susa.

comunicato stampa

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