Attualità - 05 ottobre 2025, 11:01

È andato in pensione Rigano, il veterinario con gli scarponi

Originario di Torino, ma trasferito a Torre Pellice, è stato uno dei protagonisti della bonifica degli allevamenti da tubercolosi, brucellosi ed afta

Roberto Rigano

Roberto Rigano

È stato uno dei protagonisti della bonifica sanitaria degli allevamenti in Val Pellice e il suo, per molto tempo, è stato il primo numero di telefono composto dai pastori in caso di predazione. Roberto Rigano, veterinario dell’Asl, è andato in pensione ad agosto. Sessantacinquenne di Torre Pellice, ha iniziato a lavorare per il servizio sanitario pubblico negli anni Novanta. Fa parte della generazione che soppiantò la figura dei ‘veterinari condotti’: “Il nostro ruolo cambiò radicalmente al fine di eliminare l’anomalia che fossero gli stessi allevatori, cioè i controllati, a pagare chi li doveva controllare” spiega Rigano.

I maestri e l’arrivo ‘controvoglia’ in Val Pellice

Fu proprio il veterinario condotto, forse più celebre d’Italia, ad aver contribuito alla formazione di Rigano, che si svolse tutta a Torino, città in cui nacque. “Scelsi l’istituto agrario perché non avevo voglia di studiare, nel frattempo però maturai, e mi dedicai agli studi universitari in veterinaria con passione. Uno dei miei professori era il veterinario e scrittore Dante Graziosi” racconta. L’autore di ‘Una Topolino amaranto’ non fu l’unico scrittore a entusiasmare il giovane studente: “Per noi James Herriot, scrittore e veterinario britannico, era un mito. Volevamo diventare tutti come lui” sorride.

Figlio di un ufficiale dell’esercito, Rigano visse fino ai 19 anni a Padova e arrivò quasi per caso in Val Pellice, un territorio, inoltre, dove non aveva nessuna intenzione di rimanere: “Dopo aver fatto il servizio di leva a Pinerolo, iniziai a lavorare in valle, in un ambulatorio per piccoli animali con Doretta Zanella e Mario Marino – racconta –. Avrei voluto vivere in un contesto urbano, non in montagna, ma a Torre Pellice trovai una cittadina di provincia in cui si respirava comunque aria di città. C’era l’ospedale, il treno, il cinema, il teatro e numerosi servizi. Decisi quindi di stabilirmi”.

Negli anni Novanta, Rigano entrò a lavorare nel servizio sanitario pubblico e successivamente lasciò l’ambulatorio. Dopo un anno a Perosa Argentina, iniziò a occuparsi della Val Pellice.

Il ‘dottore’ che inseguiva a piedi gli allevatori

I veterinari dell’Asl in Val Pellice erano 5 e a lui venne affidato il Comune di Angrogna. In quegli anni erano diffuse le epidemie di tubercolosi tra i bovini, di brucellosi tra gli ovicaprini e doveva ancora essere debellata l’afta. “Il nostro non era un lavoro simpatico – ammette –: se durante i controlli trovavamo animali positivi dovevamo disporre l’abbattimento e l’isolamento che voleva dire sospendere le attività di vendita e acquisto di bestiame e rinunciare al pascolo”. Tuttavia si è sentito sempre ben voluto: “Gli allevatori non hanno smesso di chiamarmi ‘dottore’ e tutte le volte che uscivo sporco dalle loro stalle mi facevano trovare sempre dell’acqua calda, un sapone nuovo e un asciugamano lavato e stirato per ripulirmi”.

Durante i suoi primi anni di lavoro i sopralluoghi erano numerosissimi perché era necessario bonificare gli allevamenti dalle malattie e il lavoro si svolgeva per lo più sul campo: “Tuttavia allora non avevamo a disposizione i navigatori, inoltre capitava che, raggiunta la stalla, scoprivo che gli animali erano stati spostati nei pascoli primaverili o in alpeggio – rivela –. Dovevo quindi partire al loro inseguimento quasi sempre a piedi, perché gran parte delle piste forestali vennero realizzate più tardi”. Ma in situazioni del genere aveva un punto di riferimento: “Quando non trovavo più l’allevamento nel posto in cui credevo fosse mi rivolgevo a Marilena Vecco del negozio di San Lorenzo. Lei sapeva dirmi dove si erano spostati, era il riferimento per noi veterinari”.

Profilassi tra yak e bufali

In Val d’Angrogna gli toccò occuparsi della profilassi di diversi generi di animali, spesso cercando delle strategie per non farsi del male: “Una volta mi trovai in mezzo agli yak, un’altra dovetti fare il prelievo sotto la coda a dei bufali. Per evitare di essere colpito dai calci degli animali, salii sulle travi del soffitto della stalla e alzandogli la coda feci il prelievo dall’alto”.

Dopo la riorganizzazione dell’Asl e del settore, di veterinari in Val Pellice ne rimasero due: “Così a me venne affidata tutta l’alta Valle, cioè oltre ad Angrogna, i Comuni di Bobbio, Villar e Torre Pellice”. Divenne man mano più semplice raggiungere gli alpeggi: “Ora, tranne al Crosenna, in tutti gli altri posti si può arrivare con un mezzo, su pista forestale”. Un altro cambiamento ha toccato da vicino gli allevamenti: “Il numero di animali in Valle è rimasto più o meno stabile ma ora gli allevamenti sono più grandi – spiega –. Prendiamo il caso di Angrogna: siamo passati a più di cento allevamenti a una quindicina. Inoltre, in passato non c’era borgata in cui non ci fosse qualche mucca. Ora non è più così”.

Come sono cambiate le predazioni

L’arrivo del lupo ha contribuito alla riduzione del numero degli allevamenti in Valle e Rigano ne è stato testimone in prima linea perché spesso gli allevatori chiamavano lui per certificare la predazione: “In un primo tempo se ne occupavano i veterinari della Città metropolitana ma gli allevatori si fidavano di me e quindi mi chiamavano comunque” racconta. Poi divenne un compito dei veterinari dell’Asl: “Negli anni Novanta c’era già stato qualche caso sporadico di predazione ma eravamo impreparati. Dovemmo frequentare dei corsi di aggiornamento in giro per l’Italia”. Dall’inizio degli anni Duemila la presenza di branchi è diventata più stabile ma c’è chi ha imparato limitare i danni: “Nei primi tempi sul luogo della predazione trovavamo fino a una ventina di capi morti, ora solamente più un paio. Con l’arrivo del lupo infatti alcuni allevatori hanno abbandonato l’attività ma altri si sono attrezzati”.

L’arrivo dei primi cani da guardiania

Tra i mezzi a cui sono ricorsi gli allevatori per gestire il rischio ci sono i cani da guardiania. Il loro arrivo ha reso necessario ridefinire i comportamenti in montagna: “All’inizio le greggi venivano affidate a cani maremmani non equilibrati e quindi aggressivi. Si credeva inoltre che dovessero vivere fin da piccoli in mezzo agli altri animali e non venivano socializzati, non erano quindi preparati ad aver a che fare con gli escursionisti”. Inoltre gli allevatori non capirono subito quale fosse l’alimentazione più adatta: “Li trattavano come i cani da pastore a cui basta pane e latte ma loro avevano bisogno di altre sostanze nutritive. Ora invece investono nell’alimentazione dei cani ed affrontano la fatica di portare in alpeggio sacchi di crocchette”.

Dal lavoro alla passione per i sentieri

Rigano ha imparato ad amare la montagna proprio grazie al suo lavoro è diventato anche uno dei punti di riferimento del Cai Uget Val Pellice, soprattutto sul tema della manutenzione dei sentieri. All’associazione vorrà dedicarsi di più ora che è in pensione. Proprio come escursionista sui sentieri della Valle ha assistito a una scena che descrive bene com’è cambiato il rapporto con gli animali: “Un tempo erano i pastori a tenere in tasca i petardi per spaventare i lupi in caso di necessità, ma recentemente ho visto gli escursionisti accendere e lanciarli. Questa volta però per allontanare un cane minaccioso”.

Elisa Rollino

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