Attualità - 28 ottobre 2025, 15:03

Dal G8 di Genova, alle Olimpiadi, ai No Tav: intervista al Questore di Cagliari Rosanna Lavezzaro

Ha assunto servizio alla questura di Torino e assegnata prima al commissariato P.S. Barriera Nizza e poi, per 9 anni, alla Digos

Dal G8 di Genova, alle Olimpiadi, ai No Tav: intervista al Questore di Cagliari Rosanna Lavezzaro

Rosanna Lavezzaro, piemontese, coniugata con due figli, laureata in Scienze politiche all’Università di Torino nel 1989, a 23 anni è stata vincitrice del concorso per vice commissari. Al termine di 9 mesi di formazione presso l’Istituto Superiore della Polizia di Stato di Roma, ha assunto servizio alla questura di Torino e assegnata prima al commissariato P.S. Barriera Nizza e poi, per 9 anni, alla Digos. A seguire ha diretto la divisione amministrativa e, per 12 anni, l’ufficio immigrazione in un contesto storico complesso. Nel periodo torinese ha coordinato servizi di rilevanza internazionale: nel 2001 per il G8 di Genova si è occupata della sala operativa internazionale, nel 2006 in occasione dei XX Giochi olimpici invernali di Torino ha coordinato tutti i servizi di ordine pubblico in Val di Susa e nel 2009 in qualità di responsabile della gestione della stampa internazionale in occasione del 35° vertice del G8; ha anche diretto i più delicati servizi di ordine pubblico in relazione alla costruzione del cantiere dell’alta velocità in Val di Susa. In seguito alla nomina a capo di gabinetto della questura di Torino, nel 2019 consegue la promozione a dirigente superiore con l’incarico di questore di Vercelli, di Novara e di Rimini. Dopo la promozione a fine 2023 al massimo grado di dirigente generale di pubblica sicurezza, dal febbraio 2024 è questore di Cagliari.  

Come sono state le esperienze a capo della questura di Vercelli, di Novara e di Rimini?

«Anzitutto la differenza in termini di grandezza delle provincie, perché Vercelli conta 50 mila abitanti, Novara 100 mila e Rimini 150 mila. La complessità del lavoro non è solo riferita alla densità abitativa perché Rimini, ad esempio, è una città che vive dinamiche particolarmente complesse nei mesi estivi. A Vercelli è stata dedicata un’attenzione particolare al settore dell’agricoltura perché il territorio ha una spiccata vocazione agricola. Novara, in cui si respira un’influenza milanese, ha una realtà industriale più strutturata. Rimini vive la duplice realtà industriale e turistica che definirei preponderante. Sono tre città bellissime nelle loro caratteristiche a cui sono rimasta molto legata. Mi piace entrare nelle dinamiche della città a cui sono assegnata perché non ho mai voluto essere un questore ai margini. Interpreto il ruolo come una figura che deve essere fisicamente presente e calata il più possibile nei luoghi in cui opera: se io stessa non capisco le situazioni e se non riesco a leggere la realtà, potrei assumere decisioni non in linea con il sentire dei cittadini, poiché generate da una valutazione distorta di aspetti invece importanti. È parte del mio carattere inserirmi appieno nella vita culturale, istituzionale, ma soprattutto nella quotidianità. La funzione è tanto più pregnante ed efficace quanto più si sia a conoscenza delle situazioni».

Ora è questore di Cagliari, al vertice di una delle 14 Città metropolitane d’Italia.

«Cagliari, chiamata città del sole, è bellissima sia dal punto di vista naturalistico, sia culturale. Ha molteplici opportunità con un grado di sicurezza relativamente soddisfacente perché, fonte del Sole 24 ore, è posizionata al 15° posto tra le città più sicure in Italia, sicché non avverto un problema particolare di sicurezza. Come in tutte le città ci siano zone in cui si concentrano alcuni soggetti a cui dedicare più attenzione rispetto ad altre, penso al quartiere Sant’Elia, al quartiere San Michele e a una parte del quartiere Pirri. Tutto è perfettibile, cerchiamo di alzare sempre il livello di attenzione, soprattutto in relazione alla percezione del senso della sicurezza su cui esistono studi anche sociologici. La percezione è un concetto sfumato, così sfumato che spesso non è neanche correlato a fatti realmente accaduti. Se ad esempio in un mese si verificano 10 furti e nel mese successivo si registrano solo 5 furti, se quei 5 avvengono in un lasso di tempo ristretto e in una zona circoscritta, la percezione di sicurezza sarà molto inferiore nel mese in cui i furti sono stati 5 rispetto al mese in cui i furti sono stati 10. Non basta soltanto il dato statistico perché i numeri vanno interpretati in relazione alla realtà esistente. Rimini ad esempio era la terza città più insicura d'Italia, perché per 8 mesi all’anno conta circa 150 mila residenti, mentre per i mesi estivi arriva quasi a un milione: quei 4 mesi fanno aumentare di molto il numero dei reati commessi che però resta sempre riferito ai 150 mila residenti. É inevitabile che Rimini salga nella classifica e proprio per questa dinamica Rimini ha bisogno di un'attenzione particolare».

Qual è il suo pensiero sul ruolo della donna al vertice di strutture fino a qualche decennio fa principalmente guidate da uomini?

«La leadership maschile e femminile è un tema che mi ha sempre interessato, anche perché avevo frequentato il quarto anno di liceo negli Stati Uniti e ospitata dallo sceriffo della città. L’argomento già all'epoca era molto dibattuto in America, parlo del soffitto di cristallo; credo che non ci sia una differenza in termini di raggiungimento del risultato, perché non c'è un gap in termini di rendimento tra uomo e donna, ma registro una notevole differenza sul come si raggiunga il risultato. Le caratteristiche della donna sono tendenzialmente più rivolte alla condivisione, a una spiccata capacità d’ascolto e a un approccio più empatico rispetto a tutti gli attori della decisione che bisogna prendere, requisiti a volte meno evidenti nell'uomo. Quindi non è tanto una questione di risultato, ma di metodo, di procedura. È inutile che io cerchi di essere la brutta copia di qualcuno, è meglio cercare di essere la migliore interpretazione di me stessa. Se ho certe caratteristiche caratteriali e di personalità, è naturale che le debba sfruttare, senza uniformarmi a un modello di comportamento che non mi appartiene. Indipendentemente dall’appartenenza al genere, la differenza sarà sempre realizzata dalla cifra della persona e dalla la qualità del lavoro svolto».

Quali e come sono i rapporti con le altre forze di polizia territoriali per l’esercizio comune della pubblica sicurezza?

«Ci sono alcune precisazioni da fare. Il questore è autorità provinciale di pubblica sicurezza. Nell’ambito della gestione e della responsabilità dell'ordine pubblico, ad esempio, è in una posizione sovraordinata rispetto alle altre forze di polizia, perché la legge 121 del 1981 conferisce al questore una posizione di primazia. Finora ho avuto la fortuna d’incontrare quasi sempre sul mio cammino persone molto perbene che hanno capito e rispettato pienamente il mio ruolo; in poche circostanze ho dovuto - e non è un elemento che mi appartiene - mettere un po' i puntini sulle i, perché su alcuni temi la figura del questore è preminente rispetto a tutte le altre. I rapporti in generale sono molto proficui perché tutti concorriamo per un unico fine ultimo che è la pubblica sicurezza: i Carabinieri, seconda forza di polizia a carattere generale, la Guardia di Finanza, più specializzata all’ambito di polizia economico finanziaria, ma anche le Polizie locali con le quali, in materia di ordine pubblico, è fondamentale il loro coinvolgimento per ridurre al minimo l’impatto delle manifestazioni sulla viabilità. La collaborazione è necessaria perché è la carta vincente sotto tutti i punti di vista».

Svolge l’attività in ambiti sindacalizzati; come riesce a conciliare l’attitudine al comando in costante equilibrio?

«I sindacati svolgono un ruolo fondamentale che va rispettato e riconosciuto: hanno una grande responsabilità nella gestione delle richieste dei propri iscritti e una importante funzione di cuscinetto. L’equilibrio sta nella genesi del rapporto: tra le parti deve esserci piena lealtà, equilibrio e trasparenza. Le organizzazioni sindacali sanno che se ho un certo margine di discrezionalità sulla questione che mi viene sottoposta, prenderò sempre la decisione che possa favorire il personale. Ma se giungono richieste irricevibili, senza un minimo di coerenza, auspico che il sindacato, con serietà, spieghi le motivazioni per cui non sia possibile dare seguito a determinate proposte».

Come possono i cittadini, singolarmente o con associazioni, aiutare a educare per una pacifica convivenza

«Il Terzo settore è un alleato fondamentale. È pacifico che quanto più si riuscirà a occupare in città gli spazi in modo intelligente, costruttivo e sano, automaticamente si ridurranno le sacche di illegalità. Quanto più la città, il volontariato, i cittadini stessi riusciranno a recuperare spazio proprio con iniziative culturali, sportive e musicali, tanto più in automatico si ridurranno le presenze di soggetti molesti. Anche sui giovanissimi è necessario fare delle approfondite riflessioni ed elaborare piani d’intervento multidisciplinare che coinvolgano necessariamente vari attori con competenze diversificate». 

Può spiegare meglio?

«Oggi gli adolescenti hanno pochi punti di riferimento familiari e scolastici. Mi riferisco al segmento giovanile con il quale si confronta la Polizia di Stato, essenzialmente una fascia problematica. Nella mia esperienza personale, che non ha certamente la pretesa di essere l’unica lettura possibile, inquadro i genitori tendenzialmente spaventati da due possibilità opposte. Secondo alcuni di loro il fatto di avere un atteggiamento più autoritario può scatenare due opposte conseguenze: una sorta di reazione violenta, con conseguente astensione dall'esercitare il ruolo di genitore per evitare il rischio di ripercussioni comportamentali che il proprio figlio potrebbe avere, non d'accordo con le decisioni dei genitori, oppure, al contrario, il timore che il figlio possa avere una reazione di depressione e d’isolamento. Queste due paure, da una parte reazione violenta e dall’altra di reazione depressiva, d’isolamento e di apatia, spingono molti genitori ad abdicare al loro primario ruolo. Il genitore non deve essere amico del figlio, deve porsi in una posizione ben precisa, deve essere un riferimento credibile, deve dare l’esempio, deve porre dei limiti, perché sono indispensabili per un armonioso sviluppo del ragazzo. Bisogna dedicare tempo. Queste affermazioni le ho sempre rivolte prima di tutto a me stessa. Ho due figli, una ragazza e un ragazzo e questo mi sono sempre imposta questo approccio, a volte con successo, altre volte con qualche insuccesso. È faticoso e impegnativo ma ne vale la pena, perché se non ci sforziamo per il bene dei nostri figli, mi domando allora per che cosa valga la pena combattere.  È necessario stare anche con i propri figli in modo intelligente. Osservi anche lei alcune famiglie sedute al ristorante: tutti, genitori compresi, sono assorbiti dagli strumenti elettronici. Che cosa indica? Che quel tempo non è condiviso, non si fanno né riflessioni, né considerazioni, nessuno espone i propri dubbi o le proprie paure. Sono sì insieme fisicamente, ma nello stesso tempo molto distanti, perché ognuno sta pensando alle proprie priorità del momento. É importante invece dedicare e condividere il tempo, soprattutto qualitativamente».

Qual è stata l’esperienza professionale che di più, finora, l’ha colpita profondamente nell’animo?

«Sicuramente la tragedia alla stazione di Riccione di due adolescenti di 15 e di 17 anni, Giulia e Alessia Pisanu, decedute all’alba di domenica 31 luglio 2023. Ricordo, come fosse ora, la prima telefonata che ho ricevuto: ero a Rimini e sono corsa in auto sul posto. Nei primi momenti non si capiva la relazione tra le due ragazze, bisognava ricostruire i termini della tragica vicenda. A me sembrava già un dramma infinito il fatto che due ragazzine potessero trovare la morte in quella circostanza. Non le dico la mia reazione quando mi hanno detto che erano sorelle: più come madre che come questore, mi si è gelato il sangue, mi sono messa nei panni dei genitori quando sarebbero stati informati della disgrazia poco dopo. Come si può comunicare una disgrazia di questa gravità simile? Con quali parole e soprattutto con quale coraggio? Una sciagura insopportabile, un dolore ingiusto e crudele per cui ho molto sofferto. A oggi è stata l’esperienza professionale che più mi ha turbato, un contraccolpo indescrivibile (ndr la voce si è rotta dall’emozione)».

Il femminicidio è solo un tragico crimine o nasce da un problema culturale?

«Il Dipartimento di Pubblica Sicurezza sul tema ha investito e sta investendo molto, come anche le norme in campo penale. Il codice rosso ha generato un’autostrada preferenziale perché tutti i reati spia vengono immediatamente vagliati e approfonditi se fanno anche solo supporre una situazione di minaccia o di violenza nei confronti della donna. Il protocollo Zeus, ormai operativo nella quasi totalità delle questure, prevede che nel momento in cui il Questore notifica un ammonimento, invita la stessa persona a seguire un percorso psicologico. Qual è il dato triste? Che solo il 5-8% degli ammoniti accetta il supporto psicologico, anche se si sta registrando un lieve aumento della percentuale.  Questo passaggio dovrebbe essere un po’ più cogente e sarebbe necessario qualche strumento in più per passare dal suggerimento all’imposizione. Finché non interverremo sul maltrattante dovremo sempre sperare di arrivare in tempo perché ci sarà sempre una donna in pericolo. È un processo lungo, difficile e complicato, ma se si riuscisse a intercettare e a scardinare quelle dinamiche che inducono il maltrattante a innescare certi comportamenti, solo a quel punto si raggiungerebbe la vera vittoria».

La declinazione al femminile del ruolo è soltanto una formalità oppure è essenziale per meglio esercitare la funzione?

«L’Accademia della Crusca riconosce e suggerisce la possibilità della declinazione al femminile di alcune professioni. Personalmente continuo a preferire che il riferimento sia rivolto alla posizione che, in questo preciso momento storico è rappresentata da me. Prediligo essere chiamata questore, perché ritengo che la carica abbia la priorità sulla persona che la ricopre». 

Come concilia l’attività professionale con la vita privata di moglie e madre?

Ho avuto una carriera molto fortunata, non dico che non mi sia costata fatica e rinunce, perché ho lavorato per più di 24 anni alla questura di Torino con ritmi pesanti; Torino rappresenta una delle piazze più difficili da gestire, anche sotto il profilo dell’ordine pubblico. Il fatto però di aver potuto lavorare nella mia città mi ha consentito di stare vicina ai miei figli dalla nascita e fino ai a 18-19 anni. Quando ho lasciato Torino la fase più delicata dell’adolescenza era superata. Questo è il privilegio che non smetto di ricordare a me stessa. Lavoravo senza sosta ma avevo anche la possibilità di stare, magari la sera e la mattina presto, con i miei figli. Li accompagnavo al prescuola alle 7.30 e per me questo era fondamentale. Sono riuscita per una serie di coincidenze propizie a trovare un solido equilibrio tra l’attività professionale e la vita privata di madre e di moglie. Con l’orgoglio di mamma dico che ho avuto due figli facili da crescere che mi hanno dato finora grandi soddisfazioni. Fondamentale è stata anche la figura di mio marito perché non è sempre facile stare al fianco di una donna molto impegnata, come il mio caso, con emergenze frequenti e cambi di programmi improvvisi; non mi ha mai fatto pesare le mie assenze e mi ha sempre supportato e donato la serenità necessaria per svolgere la mia professione, soprattutto in alcuni momenti difficili della mia vita in cui il suo supporto è stato assolutamente determinante. Il bilancio non può che essere positivo».

Signor questore, è felice?

«Sì, le risponderei di sì. Ho raggiunto un buon punto di equilibrio. La vita è stata generosa con me perché mi ha permesso di mettere in perfetta linea gli aspetti essenziali della famiglia, della professione e della vita privata, intesa soprattutto come amicizie. Credo molto nell’amicizia. Mi porto dietro legami profondi da tutte le città in cui sono stata, quindi da Vercelli, da Novara, da Rimini e anche quando andrò via da Cagliari: per me l’amicizia è un amore che non finirà mai».

Indegnamente cito Enzo Biagi che riteneva che l’obiettività del giornalista non fosse solo di amorale equidistanza, ma anche con un riflesso sul comportamento morale. Rosanna Lavezzaro unisce rettitudine ed estetica, nell’assorbente definizione di eudemonia di Aristotele, dell’equilibrio tra etica della bellezza e dell’eleganza, attitudini per raggiungere prestigiosi traguardi con la non comune virtù dell’umiltà.

Pierluigi Lamolea

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