Attualità - 30 ottobre 2025, 16:21

Tracce di fossili a livello del mantello terrestre: nelle valli del Pinerolese il primo caso al mondo

La ricerca è stata condotta da un team multidisciplinare delle Università di Torino e Perugia ed è stata pubblicata sulla rivista ‘Scientific Report’

Tracce di fossili a livello del mantello terrestre: nelle valli del Pinerolese il primo caso al mondo

Grazie a tecniche innovative per estrarre fossili dai campioni di rocce, nelle valli pinerolesi sono stati trovati, in condizioni di pressione assimilabili a quelle del mantello terrestre, pollini e spore fossili, risalenti a 300 e 250 milioni di anni fa. Una scoperta unica al mondo che arriva dai rilevamenti geologici per il foglio geologico 172 Pinerolo, effettuati da ricercatori e ricercatrici del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino e di Perugia nell’ambito del progetto CARG – cartografia geologica e geotematica.

“Abbiamo fatto una convenzione con l’Ispra, Istituto Superiore Protezione e Ricerca Ambientale, e la Regione nell’ottobre 2022 per revisionare il foglio Pinerolo, che comprende la parte bassa della Val Chisone, la Val Germanasca e una parte della Val Pellice. L’ultimo aggiornamento era del 1908”, spiega Rodolfo Carosi, docente del Dipartimento di Scienze della Terra all’Università di Torino e Presidente della Società Geologica Italiana.

I punti di campionamento

I punti di campionamento sono stati in Val Lemina verso il monte Freidour, sul versante sinistro della Val Chisone sopra Villar Perosa, sopra Perosa Argentina e nella borgata di Chasteiran di Roure, all’inizio Val Germanasca, intorno a Perrero. Lì ci sono rocce metamorfiche, formate dalla trasformazione di rocce preesistenti, appartenenti al massiccio Dora-Maira delle Alpi Occidentali.

La scoperta

“Su quest’area i ricercatori hanno compiuto i loro rilievi. Le tecniche per estrarre resti fossili dai campioni, trattamenti anche lunghi di macinazione e utilizzo di acidi messi a punto dalla collega di Perugia, la professoressa Amalia Spina, hanno permesso di trovare nei primi 10 campioni forme fossili di pochi micrometri, come pollini e spore, e anche acritarchi, ovvero microfossili marini. È stata una sorpresa per tutti – ammette Carosi –. In queste condizioni di roccia metamorfica, con un’alta pressione, del valore di 29 kilobar, temperature di 520 gradi, e profondità anche di 100 chilometri, non era mai stato trovato nulla di simile. Abbiamo dunque continuato a prelevare anche altri campioni e attualmente ne abbiamo una settantina in corso di studio”.

Doppiamente sorprendente è quanto riscontrato nelle rocce a Chasteiran, più antiche. “Hanno 420 milioni di anni, non 300 come nelle zone circostanti, e hanno subito le deformazioni delle orogenesi più remote, delle catene montuose che occupavano l’Europa prima delle Alpi, e poi quelle delle Alpi, dunque addirittura un doppio processo di trasformazione. E anche qui ci sono tracce di fossil”.

La scoperta deve molto alle tecniche di separazione utilizzate all’Università di Perugia, senza le quali non si sarebbero potuti individuare fossili nelle rocce che avevano subito una temperatura di 200 gradi, perché scomparivano e diventano materiale carbonioso: “Con la metodologia opportuna ora adottata, al microscopio facendo sezioni molto sottili riusciamo a trovare 4 o 5 forme in una sezione di 20 millimetri. Chiaramente nei depositi iniziali ce n’erano migliaia, ma il fatto che queste poche si siano preservate in buono stato è straordinario”, sottolinea Carosi.

Nuove prospettive

La ricerca, pubblicata sulla rivista ‘Scientific Report’ del gruppo Nature, è uno strumento importante per i geologi, che favorirà una maggior comprensione della storia delle rocce e della loro età, spesso difficile da individuare nelle zone più metamorfiche a causa della mancanza di indizi sui fossili. È importante sia per le Alpi, dove rocce di questo tipo sono abbastanza diffuse, come sul Gran Paradiso e sul Monte Rosa, sia per altre catene montuose in tutto il mondo le cui parti interne sono caratterizzate da terreni metamorfici.

Si aprono prospettive nuove anche per la ricerca di tracce di vita su altri pianeti: “Aver individuato queste forme in condizioni estreme di pressione e temperatura può far pensare alla possibilità, perlomeno teorica, di trovare qualcosa anche su altri pianeti. Ad esempio, se su Marte ci fossero state in passato delle forme di vita, anche vegetali, ci potrebbe essere qualche speranza in più. Perlomeno, se un giorno riusciremo ad avere delle rocce che provengono da Marte, potendo studiarle con queste tecniche, ci sarà la probabilità di rintracciarle”.

Sabina Comba

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