I corsivi di Virginia - 07 maggio 2025, 17:15

Quando il dolore non basta spegnerlo

Il ritorno della medicina olistica nella terapia del dolore

Quando il dolore non basta spegnerlo

Negli ultimi anni, si sta facendo strada un concetto tanto semplice quanto rivoluzionario: il dolore non va solo zittito, ma ascoltato. Non basta bloccarlo con farmaci potenti o anestesie mirate, perché il dolore – soprattutto quando diventa cronico – è spesso il sintomo di un disequilibrio più profondo. Da qui il crescente interesse per un approccio olistico alla medicina del dolore, che non si limita a spegnere l’allarme, ma cerca di capire da dove arriva davvero il segnale.

In questo scenario si inserisce una tecnica affascinante e poco conosciuta, tornata oggi alla ribalta proprio per la sua capacità di dialogare con il corpo in modo rispettoso e intelligente: la neuralterapia. La neuralterapia nasce negli anni ’20 grazie ai fratelli Ferdinand e Walter Huneke, due medici tedeschi che scoprirono casualmente il potere della procaina iniettata non solo per anestetizzare, ma per regolare e riequilibrare il sistema neurovegetativo, cioè quella parte del sistema nervoso che controlla le funzioni automatiche del corpo: battito cardiaco, respirazione, digestione, risposta allo stress.

In sostanza questa pratica si basa su un principio tanto antico quanto moderno: il nostro sistema nervoso ha una sua memoria e, se stimolato nel modo giusto, può resettarsi da solo.

Al centro di tutto, spesso, c’è una cicatrice, un trauma dimenticato, un vecchio intervento chirurgico o – sorprendentemente – l’ombelico, la nostra prima cicatrice. È da lì, da quel piccolo segno che tutti abbiamo e che ci unisce alla nascita, che molti terapisti del dolore iniziano il percorso di cura. Come? Con microiniezioni di procaina, un anestetico locale che, se usato in punti strategici, può riattivare il sistema neurovegetativo e spegnere circuiti dolorosi anche di lunga data.

Nel tempo, la pratica si è affinata fino a diventare una vera e propria mappa terapeutica. I medici specializzati individuano campi di disturbo (come cicatrici chirurgiche, vecchie ferite, traumi fisici o emotivi), li trattano con iniezioni mirate e cercano di ristabilire l’armonia tra il cervello e gli organi periferici.

Ci rivolgiamo al Dott. Luca Ferrero, medico specialista in anestesia e rianimazione, e terapista del dolore con una formazione specifica in neuralterapia e medicina integrata e il suo studio ARS MEDICA di Torino, dove riunisce le varie terapie in atto per curare il dolore.

Dopo anni di esperienza ospedaliera e ambulatoriale, ha sviluppato un approccio che unisce rigore scientifico e sensibilità clinica, mettendo al centro il paziente e non solo la sua sintomatologia. Convinto che il dolore vada interpretato più che represso, accompagna ogni persona in un percorso di cura personalizzato, che spesso inizia da una semplice domanda:“Quando è iniziato tutto?”.

Dott. Luca Ferrero in un’epoca in cui si cerca di curare tutto con una pastiglia, perché è importante tornare ad ascoltare il dolore?

“Perché il dolore ha sempre un significato. È un segnale, non un errore da correggere. Troppo spesso viene trattato come un nemico da combattere, ma in realtà è una mappa preziosa che ci mostra dove il corpo sta soffrendo, anche a livello emozionale o neurologico. Il mio lavoro consiste innanzitutto nell’ascoltare il paziente con attenzione: quando è iniziato il dolore, dove, in che circostanze, cosa lo peggiora o lo allevia. Senza una buona anamnesi, non esiste una buona terapia. La neuralterapia mi permette di dialogare con il corpo in modo non invasivo, restituendo al sistema nervoso quella capacità di autoregolarsi che spesso si perde a causa di traumi, stress o interventi chirurgici”.

In che modo la neuralterapia si inserisce nella sua pratica quotidiana di terapista del dolore?

“La neuralterapia è uno strumento in più, ma potente, perché non si limita all’effetto locale dell’iniezione. Agisce sul sistema nervoso autonomo, sul piano vegetativo e spesso anche emozionale. Come anestesista, conosco bene il funzionamento dei blocchi nervosi e degli anestetici locali, ma qui il principio è più fine: non si “addormenta” qualcosa, si “risveglia” un dialogo tra aree del corpo. Se una cicatrice, anche vecchia di anni, continua a inviare un segnale errato al sistema nervoso, la procaina può azzerare quell’interferenza e restituire libertà al corpo. Lo vedo ogni giorno nei miei pazienti: non serve inseguire il dolore, serve capirne la radice”.

L’ombelico è spesso il primo punto trattato. Perché proprio lì?

“È affascinante: l’ombelico è la nostra prima ferita, la prima separazione, e anche la prima memoria fisica che il nostro corpo registra. Molti non sanno che è un punto neurologicamente attivo, connesso a tensioni profonde. Trattarlo con la neuralterapia non è solo simbolico: può produrre effetti a distanza su dolori muscolari, viscerali, ansiosi. Inizio spesso da lì proprio per osservare come reagisce il corpo, dove si “accende” qualcosa, dove si sblocca. E questo mi aiuta a orientare anche il resto del trattamento. Serve osservazione, sensibilità e preparazione. Non esiste un protocollo fisso: ogni paziente ha una storia diversa da decifrare”.

È una terapia che tutti possono fare? E come si svolge concretamente una seduta?

“La neuralterapia è ben tollerata e può essere indicata in tantissime situazioni, ma deve sempre essere valutata da un medico esperto. Io dedico molto tempo alla prima visita: ascolto, analizzo la storia clinica, osservo postura, cicatrici, linguaggio del corpo. La seduta è semplice: si usano aghi sottilissimi per iniettare procaina in punti specifici, a volte sulla pelle, a volte più in profondità. Può durare dai 20 ai 40 minuti. I pazienti spesso escono con una sensazione di leggerezza, di “respiro”, come se il corpo avesse smesso di lottare. Alcuni migliorano subito, altri gradualmente. Ma sempre, ciò che conta, è mettere la persona al centro. Per concludere la neuralterapia non è una tecnica magica, né una moda del momento. È una terapia che richiede preparazione, tempo e ascolto. È per chi è stanco di spegnere i sintomi e vuole finalmente capire perché il corpo continua a mandare segnali di disagio. È per chi crede che il dolore abbia una voce, e che trovare chi la sa interpretare possa cambiare davvero la qualità della vita.Chi soffre di dolore cronico, di disturbi ricorrenti o di un malessere difficile da spiegare, può trovare nella neuralterapia – e in mani esperte – una strada nuova, efficace e rispettosa del proprio corpo”.

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Virginia Sanchesi

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