Nakhash è una band nata nel 2014 con l'obiettivo di produrre inediti. La formazione vede Elisabetta Rosso alla voce, synth e chitarra ritmica, Riccardo D'Urso, come chitarra solista e seconde voci, Simone Bussa al basso e Lorenzo Papale alla batteria. Da poco hanno pubblicato l’album Cosa resta nel quale provano a chiedersi cosa resta davvero, quali siano le cose importanti e quali quelle di facciata. Caratterizza i Nakhash una malinconia riflessiva che si concretizza in testi evocativi, a tratti fragili, sottili, senza filtri.
Come si sono formati i Nakhash e perché si chiamano così?
Al liceo, tutti in classi diverse ma ci incrociavamo nei corridoi. Io, Elisabetta Rosso, avevo la necessità fisica di mettere su una band, una sorta di imperativo categorico. Così ci siamo ritrovati in un seminterrato di una parrocchia di Asti, dove non funzionava nulla e con un entusiasmo quasi ingiustificato (ci sentivamo delle rock star all’apice del successo), abbiamo buttato giù i primi brani. In realtà il nome è figlio di una scommessa persa su Hobbes, il filosofo, e infatti il Nakhash è un mostro biblico oscuro e misterioso. Noi diciamo che è il nostro errore di gioventù, quell’H in mezzo ci ha fregato un paio di volte, chi non ci trova o chi ha storpiato il nome in modo piuttosto creativo, per non parlare della pronuncia. Però sai, non siamo riusciti a scollarcelo di dosso, ognuno di noi ormai è un Nakhash.
Se doveste descrivervi ad un ascoltatore che non vi conosce come lo fareste?
A metà tra bohémien con scotch e cravattino e maschiacci rock’n’roll che si spartiscono le birre del discount. Così. E credo che questo emerga nei nostri pezzi. Perché c’è sia il marcio grezzo, dalle distorsioni ai brani più crudi, spogli, nervosi. Ma c’è anche una malinconia riflessiva, quella che si concretizza in testi evocativi, a tratti fragili, sottili, senza filtri. Il denominatore comune sono poi le influenze indie, alternative, garage e pop che fanno da collante tra queste due anime. Insomma siamo dei bipolari coerenti.
Come nasce un vostro brano?
A volte porto una base di melodia, testo e accordi, e proviamo a vestire insieme il pezzo, altre suoniamo qualcosa di indefinito e dal mucchio poi estraiamo il meglio, un riff, un giro di basso, dipende. Intercettiamo quello che sentiamo più nostro.
Cosa resta è il vostro nuovo album, cosa resta e di cosa?
Bella domanda. Forse non riusciamo nemmeno a risponderci nell’album, ma è questo il punto. Il provare a chiedersi cosa resta, davvero. Quali sono le cose importanti quali di facciata, quali invece sono solo cattive abitudini che portiamo avanti perché qualcuno dice “è così”. Personalmente ho sempre sofferto l’imposizione immotivata, è qualcosa di ancestrale e forse ho anche rigettato nel mezzo di questo album una mia insofferenza infantile verso tutto ciò che è predefinito a priori. Però si sa, da lì di solito esce il materiale migliore. Quindi cosa resta. Sicuramente restano le fisse dei quattro anni, oltre questo album la voglia di cercare ancora e soprattutto di farlo noi quattro tutti insieme attraverso la musica.
Estratto del disco è il singolo “Romantica”, cos'è per voi il romanticismo e come viene fuori in questo brano?
Ecco Romanticismo ha due significati, noi non parliamo di rose rosse e lume di candela ma della corrente stilistica. Quindi lo struggimento interiore che ogni tanto fa pure bene. Quella rabbia, desolazione leggera che ti permette di stare a galla nonostante il richiamo degli abissi. Romantica è questo. Trova qualcuno che sta con te in silenzio sul pavimento di casa freddo e sei a posto.
La vostra Torino musicale e non.
Torino è casa, anche se casa acquisita, è un po’ dove abbiamo mosso i primi passi e tornare ogni volta è come fare un salto indietro, che ne so a quel concerto all’Hiroshima dove avevamo dipinto i capelli rosa a Simone, il bassista, o all’Audiodrome dove avevamo festeggiato con del vino degli alpini portato dentro i sacchi di plastica dei nostri amici, (è davvero pessimo lo so). Oppure al Cap10100, avevamo provato a far salire sul palco un gong costruito da noi con un appendino per abiti. E qua mi fermo. Ecco la nostra Torino musicale e non. Tanto musicale e tanto non.
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