Scuola e formazione | 24 novembre 2025, 14:20

Violenza sessuale, una ricerca di Unito rivela che la maggior parte delle prove biologiche non è mai analizzata

Pubblicata sulla rivista internazionale Forensic Science International: Genetics

Violenza sessuale, una ricerca di Unito rivela che la maggior parte delle prove biologiche non è mai analizzata

In Italia, ogni anno centinaia di donne si sottopongono a un delicato percorso di cura e accertamento dopo aver subito una violenza sessuale. Tra le fasi più complesse e dolorose c’è la raccolta dei campioni biologici, fondamentali per poter risalire a un eventuale aggressore. Eppure, secondo una nuova ricerca dell’Università di Torino pubblicata sulla prestigiosa rivista internazionale Forensic Science International: Genetics, queste tracce – spesso ottenute in momenti drammatici e con grande difficoltà per le vittime – nel 90% dei casi non vengono mai analizzate.

Lo studio, sostenuto da un contributo di Fondazione CRT e condotto da un team multidisciplinare composto da ricercatori e ricercatrici dell’Università di Torino, dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino e dell’Università del Piemonte Orientale, e da specialisti della Polizia Scientifica di  Torino, del RIS dei Carabinieri di Parma e del Centro Regionale Antidoping di Orbassano  ha esaminato 1175 casi trattati nell’arco di vent’anni (dal 2003 al 2023) presso il Centro SVS di Torino. In solo 92 di questi l’autorità giudiziaria ha disposto indagini genetiche sul materiale prelevato dal corpo della vittima. È poco più del 7%: un dato che racconta una sottoutilizzazione sistemica di strumenti che potrebbero fare la differenza nel percorso giudiziario delle vittime.

Secondo gli autori, i risultati mettono in luce l’enorme potenziale ancora da valorizzare nelle indagini, sia per identificare con maggiore efficacia gli aggressori sia per scagionare chi è ingiustamente sospettato. Le tecnologie disponibili – come la Banca Dati Nazionale del DNA, operativa dal 2017 – offrono infatti strumenti avanzati per collegare campioni provenienti da casi diversi. Pur essendo oggi utilizzata solo per il 25% dei profili genetici idonei, questa risorsa rappresenta una grande opportunità per rendere le indagini più rapide, accurate e giuste.

La ricerca mette in luce anche le situazioni in cui l’autorità giudiziaria tende più spesso a disporre un’analisi: quando l’aggressione è avvenuta da poche ore (4/9h), quando viene riferita un’eiaculazione o quando l’autore è sconosciuto alla vittima. Tuttavia, i dati mostrano come un profilo genetico utile possa emergere anche in assenza di sperma, con uso di preservativo o persino dopo che la vittima si è fatta una doccia. Ciò significa che molte indagini potenzialmente decisive non vengono neppure avviate.

“I risultati ottenuti – dichiarano la Dr.ssa Alessia Riem, assegnista di ricerca, e il Prof. Carlo Robino, rispettivamente prima autrice e coordinatore dello studio - offrono ai DEA di I e II livello del territorio nazionale ed ai Centri SVS spunti utili per aggiornare le politiche di raccolta e conservazione dei campioni biologici prelevati in occasione della visita ginecologica di vittime di violenza sessuale. A fronte degli imponenti sforzi degli operatori ospedalieri e delle comprensibili aspettative delle vittime che acconsentono a sottoporsi al campionamento biologico, l’indagine genetica rimane uno strumento non valorizzato nel contrasto alle aggressioni sessuali. Lo studio ha permesso inoltre di identificare i principali fattori predittivi che l’autorità giudiziaria può tenere in considerazione al momento di decidere in merito all'opportunità di disporre o meno l’indagine genetica. Un impiego mirato e consapevole del test genetico nei reati sessuali non può fare a meno della Banca Dati Nazionale del DNA. Questo strumento, anche a molti anni dalla sua attivazione, appare tuttavia ancora poco sfruttato nelle sue potenzialità in base ai dati raccolti”.

comunicato stampa

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