Ci ho pensato bene, potete credermi, a cosa dedicare il secondo articolo della rubrica, a quali pensieri piacevoli aprire la porta. Soprattutto dopo un incipit tanto arrogante.
E siccome Johanna Poetessa ha grandi sogni per la Poesia, vorrebbe proprio farvelo sapere. Errata corrige: farvelo provare.
Allora, se siete d’accordo, isoliamo il tema di oggi e mettiamolo nero su bianco, senza timore: IL SOGNO.
Sognare fa bene, sempre. Ci catapulta nel mondo delle possibilità, dell’assurdo; nel mondo silenzioso che si nutre di tutti i nostri rumori. È una dimensione che corre parallela alla vita, non meno reale e ben più potente.
Ci “stacca”, ci libera e ci spaventa: esattamente ciò che provo poco prima di prendere un aereo; rendo l’idea?
Volare sulle cose e sulle persone, concedersi il lusso di cambiare prospettiva. E grazie al cielo, divertirsi!
Ora, data qualche premessa guida che spero non sia risultata invadente, ditemi se vi ritrovate nei versi di un certo Richard Wilbur.
VOLARE
“Le cime degli alberi non sono così
alte
Né io sono così basso
Da non sapere istintivamente
Come sarebbe volare
Attraverso i varchi aperti dal
vento, quando
Le foglie si muovono
E c’è un oscillare di rami
Che si abbassano e si alzano.
Qualunque sia il mio genere,
Non è assurdo
Confondermi con un uccello
Per la durata di un sogno:
La mia specie non ha mai volato,
ma io in qualche modo so
Che è qualcosa che molto tempo
fa
Mi sono quasi adattato a fare”.
Questo verso, in particolare…
“Mi sono quasi adattato a fare”
Non sentite dell’elettricità?
Pensateci su.
Alla prossima!