Buona domenica e un mazzo d’auguri freschi a tutte le madri del mondo! Quelle passate – elogiate o dimenticate, quelle presenti – temprate o neomamme, quelle future – avventurose o timorose.
A ognuna di esse, miracoli in carne ed ossa, desidero dedicare un mio breve verso:
Sei come l’acqua.
Sei come l'acqua che scorre. Calda, fredda. Calda, Fredda. Rovente, sovente.
Culla di civiltà perse ma non perdute. Radice di case stanche. Veraci. Imperfette. Belle:
intonaco e crepe.
Osservo dal basso la materia di cui sei fatta.
Di cui non sono fatta
(tratto da “Sei come l’acqua”, Clic, L’Erudita Editore)
Ma torniamo al tema portante, cari #poetrylovers.
Ebbene sì, ho deciso di titolare questo articolo citando il famoso film d’animazione “Shrek”.
“Meglio fuori che dentro”: il mantra della pellicola.
Per chi non lo sapesse, man mano che la storia si dipana, il protagonista scopre e abbraccia la sua vera Natura, resosi finalmente conto che l’essere diverso dagli altri e non dipendere dalle altrui opinioni è probabilmente la più grande rivincita.
Ora, di saggezza popolare pro libertate ne sono pieni i dizionari; elenchi infiniti di proverbi che incoraggiano l’uomo a non sprecare nemmeno un minuto della propria vita (“Chi ha tempo non aspetti tempo”), a credere in se stesso (“Volere è potere”) e a difendere la verità (“La menzogna dà fiori ma non frutti”).
Tuttavia, quando arriva il momento di “mieterli” questi eroici consigli e raccoglierne l’eredità, si scopre che a riempirsi la bocca di belle parole siamo tutti bravi; molto meno a metterle in pratica. Farsi grandi a spese altrui, insomma.
Nonostante gli innegabili progressi socioculturali stiano conducendo all’estirpazione del pericoloso germe dell’ignoranza, esiste ancora (soprattutto in un paese come il nostro) lo stigma della riservatezza. Il dogma di ciò che è giusto. Il magma dell’intolleranza, che scorre sottopelle.
Quel germe ancora prolifera e infetta. La vera beffa? Non deve far altro che mantenere la situazione allo status quo.
Dopo decenni di soprusi, violenza psicologica e carnale, atti criminali paghi e certi della quasi totale impunità, soltanto nel novembre 2020 siamo giunti alla presentazione di un disegno di legge che mira a interrompere quel maledetto status quo.
Un testo legislativo che si applica (FINALMENTE) anche ai reati di omofobia. Si estenderebbero così i passaggi del codice penale che già puniscono discriminazioni e violenze su base razziale, etnica o religiosa a quelle basate "su sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere", oltre allo scoglio non meno tagliente della disabilità. Direte voi, anime sensibili: “Evviva”! Invece no, un freno all’entusiasmo, perché il ddl proposto da Alessandro Zan non è ancora stato approvato.
Restiamo in attesa…
Un ulteriore aspetto sul quale giorni fa ragionavo è la semantica del termine anglosassone “COMING OUT”, adottato ormai universalmente (sai che novità, poi: mai una volta che salisse alla ribalta un’espressione finlandese o, che ne so, swahili!): benché sovente si senta pronunciare questa locuzione, non tutti sanno che sia in realtà composta da 5 parole e non due solamente.
“Coming out of the closet": uscire dal ripostiglio, il significato letterale.
Mi ha intenerito dipingere mentalmente l’immagine di un ipotetico ragazzo, di un adolescente stressato, di una PERSONA (maschio o femmina poco importa), che si decide infine ad aprire la porta del proprio nascondiglio, dello sgabuzzino che fino a quel momento l’ha imprigionata. Spontanea la domanda: perché quella stessa persona sentiva il bisogno di starci, lì? Siamo sicuri che, invece di sentirsi prigioniero, non avesse bisogno di un rifugio? Bisogno di proteggersi da noi tutti, dal mondo ignorante e intollerante che si arroga ancora il diritto di puntare il dito e giudicare l’orientamento sessuale, per definizione ambito intimo e privato?
Chissà come mai, in Italia, rivelarsi e “venir fuori” per ciò che si è assomigli ancora troppo a una confessione. E l’azione di confessare s’intreccia inevitabilmente all’ennesimo concetto di retaggio religioso: la colpa. Vi avviso: è in arrivo una seconda raffica di domande retoriche delle mie!
Avete mai sentito qualcuno confessare una bella notizia o una scoperta, magari l’arrivo di un figlio? Riuscite a immaginare una conversazione in cui qualcuno confessa di preferire il dolce al salato oppure il mare alla montagna, dovendosi muovere in punta di piedi per non urtare la sensibilità degli altri, per non incorrere in sguardi sconvolti e delusi? Potete sentire la tensione palpabile del “colpevole”? La sua paura di non essere accettato? Libero di pensare e fare ma fino a un certo punto.
Eppure è normalità che un individuo possa tenere per sé i propri gusti personali su cibo, spazio, musica, abbigliamento e chi più ne ha più ne metta ma senta l’onere e il peso di dover rendere il mondo partecipe della scelta più intima che esista, chi amare.
Fintanto non si accetterà la meravigliosa diversità che distingue il genere umano (e già da qui spicca prepotente il primo raggio di logica: se siamo così differenti tra noi e in così tanti modi vi è una ragione ed è giusto non solo accettarla bensì valorizzarla) e fintanto aleggerà nell’aria un’atmosfera d’insofferenza verso il prossimo, non potremo godere dell’arcobaleno. No, non parlo di quello che spunta maestoso eppur delicato sopra le nostre teste dopo un temporale; mi riferisco all’arcobaleno emotivo. Ai colori belli dell’umanità, in grado di coltivare comprensione, rispetto, sensibilità e libertà ma non sempre pronta a farlo.
Sin dal primo istante in cui abbiamo calcato questa poliedrica terra, la Natura ci ha raccontato di biodiversità, unione e meraviglia. E tutti noi siamo parte di quella Natura-Famiglia, che mai ha perso tempo a giudicare i suoi figli perché troppo impegnata a infondere in loro vita e splendore.
Viviamo, dunque! Splendiamo!
Soprattutto: smettiamo di farci del male l’un l’altro.
Non poter ESSERE = Non poter ESISTERE.
Giunti al termine, lasciamoci trasportare dalla coraggiosa poesia di Elisa Albicenti, artista decisamente sensibile all’argomento in quanto lesbica.
Una sera d’estate
quanto è poetica la sera d’estate
c’erano le stelle e la luna
c’era la birra
la birra è sempre poetica
c’era la musica
e c’era anche una lei
voi sicuramente l’avete provato prima di me
il colpo di fulmine
pensate che per me è stato doppio
triplo
quadruplo
mi ha colpita tante volte, il fulmine
e mi ha detto
guarda che è femmina
lo sai che è femmina
io lo vedo che è femmina
potrei essere un poco miope
ma l’ho vista da vicino
dentro i jeans non ho guardato
eppure penso che sia femmina
e ti piace che sia femmina
ma sì è proprio quello che mi piace
che cosa assurda mi è sembrata
per giorni interi
e chi avrebbe mai pensato
che avrei compreso me stessa
parlando con un fulmine
una sera d’estate
Insieme
non si può affrontare
un uragano così
esclusivo
(Di poesia si vive e si muore, Sillabe di Sale 2019)
Questo verso in particolare:
“…parlando con un fulmine…”
Pensate di poter essere più forti, di quel fulmine?
Pensateci su.
Alla prossima