Galipœ è il progetto cantautoriale di Davide Galipò, poeta e artista torinese di origini siciliane. Da poco è uscito il suo primo singolo “Il difensore” per l’etichetta indipendente Radiobluenote Records. Il brano anticipa l’uscita dell’Ep La Terra La Guerra e Noi, lavoro che racconta il rapporto dei Millenials con il pianeta in cui viviamo e con i conflitti con una vena leggera e smaliziata.
Galipœ è un nuovo progetto, che però affonda le radici nella tua esperienza poetica passata e presente, come è nato?
La scrittura poetica e la scrittura di canzoni hanno un tempo e uno spazio diverso. Quando Gil Scott-Heron scriveva i suoi brani, invece di cantare, rappava. Quando Roberto Sanesi ha registrato il suo primo album, nel 1972, ha portato questo genere chiamato spoken word in Italia e lo ha legato alla poesia. Anch’io mi sono formato in esperienze di quel tipo, perché i miei testi nascevano come poesie e solo successivamente venivano messi in musica, spesso da qualcun altro. Penso che la differenza sostanziale stia nel fatto che la poesia ha una sua musicalità, non ne ammette un’altra. Contemporaneamente, quando mi sono trasferito in pianta stabile a Torino, mi sono avvicinato alla forma canzone. Ho notato come la comunità dei cantautori torinesi fosse coesa, una cosa sulla quale molti poeti dovrebbero riflettere, presi come sono dalle loro ambizioni, chiusi nelle loro granitiche solitudini, mentre là fuori la musica unisce. Non ho mai avuto troppa fiducia nelle mie doti canore, ma ultimamente mi è venuta voglia di dare sfogo a questa mia passione, rimasta a lungo privata. Così è nato Galipœ: un gioco sul mio cognome, in omaggio ad un noto scrittore americano di racconti del terrore.
Cosa ispira la scrittura dei suoi testi?
Dato che in arte nessuno inventa nulla, mi piace prendere alcune massime e stravolgerle ironicamente. A volte possono essere delle strofe di altre canzoni, altre volte delle citazioni, come in Torna a fare il cassiere alla COOP. Arthur Cravan, poeta dadaista, negli anni ‘10 del ‘900 scriveva che fra non molto per le strade avremmo visto solo artisti, e avremmo fatto fatica a trovare un essere umano. La società della performance spesso ti dà un modo artificiale e distaccato di guardare alla realtà, mentre la vita alla fine è più semplice. Mi piace prendere concetti di questo tipo, diciamo filosofici, provocatori o bizzarri e inserirli nei miei pezzi, in modo che possano arrivare a tutti in modo diretto e trovare il loro posto. Per me è una specie di “montaggio”. Penso ai collage di Nanni Balestrini o ad alcuni sample utilizzati da Franco Battiato. Certe cose non dovrebbero rimanere sui libri o negli spartiti, ma essere alla portata di chiunque.
“Il difensore” è il tuo singolo d’esordio, chi e/o cosa difende e da chi/cosa?
Il difensore è un brano che sfotte il classico opinionista sui social network, colui o colei combatte le sue battaglie dalla propria cameretta, senza rischiare mai. È un inno per difendersi dalle frasi fatte, affinare il proprio giudizio, spegnere quei cazzo di telefoni e lasciarsi sorprendere dall’imprevedibilità dell’esistenza. C’è un sacco di gente oggi che parla a sproposito della guerra senza aver sparato un colpo in vita sua o che si lamenta della propria vita in pubblico, solo perché va di moda. È un invito a reagire. C’è chi sta molto peggio di te. Smettila di lamentarti, fa’ qualcosa!
Il prossimo mese pubblicherà l’Ep La Terra La Guerra e Noi, quale rapporto c’è tra i tre elementi e quale storia racconterà il disco?
Mi sembrava che tutte le canzoni dell’album riconducessero a questi tre punti: il nostro rapporto con la Terra, che oggi rischia di essere distrutta irrimediabilmente da una guerra mondiale, ma anche la guerra tra poveri che ogni giorno ci fa sentire John Wayne e arricchisce chi occupa i piani più alti, e poi questa parola così desueta, noi, che oggi si fa fatica a utilizzare. Viene quasi da rispondere: ma noi chi? Forse la nostra generazione, i millennials, ha dimenticato l’importanza di darsi del noi. Il tutto attraversato da una vena estremamente leggera e smaliziata. Non volevo fare un disco pesante: volevo fare un disco pop con un’attitudine punk.
Come è nata la collaborazione con Radiobluenote Records?
La collaborazione con Radiobluenote è stata naturale. Io e Davide Bava siamo amici e collaboriamo da molto tempo per diversi progetti; quando ho avuto le canzoni pronte, sono andato a casa sua, a Porta Palazzo, e gli ho chiesto cosa ne pensasse. Lui mi ha proposto di produrre il disco e ovviamente io ho accettato, perché ammiro molto le sue produzioni. La cosa bella di lavorare con Davide è che i brani non escono mai come entrano: si trasformano strada facendo. Molte delle cose che sentirete sono mie composizioni sviluppate dalle sue campionature, che hanno arricchito la classica impostazione da cantautore “chitarra e voce.”
La tua Torino, musicale e non.
Torino è magica. Ha un’identità molto forte che ha a che fare con la musica elettronica, l’esoterismo, i film di Dario Argento. La sua bellezza non è affatto esposta, devi andarla a cercare. Solo così puoi apprezzarla davvero. C’è una strofa di un mio brano, «Anche se scoppiasse la rivoluzione/Tu resteresti immobile», dedicata alla sua elegante fissità. La mia Torino si sbroglia tra Aurora e Barriera di Milano, dato che nella vita faccio il mediatore culturale, anche se mi piace più pensarmi come operatore estetico. Negli ultimi anni con le Case Bottega è nato un bellissimo progetto di condivisione, collaborazione e mutuo appoggio, che parte dalla cultura per migliorare la vita del quartiere. Prima di lanciarmi nel mondo della musica, ho ascoltato e osservato parecchio, avendo fatto per due anni il tecnico nelle serate del circolo dove lavoro. Da qui ho conosciuto molte persone del mestiere, che mi accompagneranno anche nel tour dal vivo. Il 7 maggio suonerò al circolo Arci Sud. Sto scegliendo una serie di club e di locali con cui ho già una conoscenza diretta e con cui spero di poter collaborare per far conoscere il progetto. A proposito: chi c’è quest’anno all’Eurovision?