Attualità | 08 maggio 2025, 10:40

Barriera di Milano non è solo sangue: i giovani contro la narrazione sbagliata

Sul caso del 19enne ucciso parlano i ragazzi di Acmos: "Più donne, più socialità, meno paura"

Sul caso del 19enne ucciso parlano i ragazzi di Acmos: "Più donne, più socialità, meno paura"

Sul caso del 19enne ucciso parlano i ragazzi di Acmos: "Più donne, più socialità, meno paura"

Prima la rissa, poi l'omicidio: Mamoud Diane, 19 anni, ha perso la vita nella tarda serata di venerdì 2 maggio 2025. Oggi, a parlare del caso sono i giovani di Barriera di Milano, che puntano il dito contro i veri responsabili: organizzazioni mafiose e politiche sbagliate.

Socialità, fiducia e presenza civile

A voler cambiare la narrazione di un quartiere, spesso descritto come degradato e pericolosa, sono i ragazzi dell’associazione Acmos. Questo gruppo giovanile, attivo da anni sul territorio, promuove la riqualificazione degli spazi urbani attraverso coabitazioni solidali, per costruire relazioni di vicinato più forti e solidali. Secondo loro, più che forze dell’ordine, il quartiere avrebbe bisogno di socialità, fiducia e presenza civile.

Il retroscena

Ramona Boglino, membro del consiglio direttivo di Acmos e attivista di Libera, sottolinea come il dibattito pubblico si stia muovendo in una sola direzione: "Viviamo a pochi passi da via Monterosa, dove si è consumato il delitto, e ci pare che il racconto mediatico si concentri esclusivamente sul degrado e sulla pericolosità. Non si parla abbastanza di chi alimenta questo sistema, come le cosche mafiose, e di come certe dinamiche sociali spingano alcuni giovani a diventare manodopera per la criminalità".

Boglino evidenzia anche il rischio di associare automaticamente l’immigrazione alla criminalità, senza analizzare le cause profonde di esclusione sociale e povertà: "Ci occupiamo di inclusione, ma incontriamo molte difficoltà, anche legate  alla difficoltà di ottenere un permesso di soggiorno e alla falsa  soluzione dei Centri di permanenza per il rimpatrio. La povertà porta spesso le persone a scelte illegali per semplice sopravvivenza. In più, a Torino esiste un problema di razzismo abitativo, che in un quartiere come Barriera, ad alta densità di stranieri, esaspera ulteriormente le tensioni".

L’associazione lavora anche con il Gruppo Abele per supportare giovani malati di dipendenze, un ambito dove le risorse sono ancora troppo scarse: "Certo, la responsabilità individuale esiste, ma è fondamentale capire i contesti. C’è un mercato della droga in cui si lucra sulla domanda, e chi ne è vittima spesso resta isolato. Quante risorse mette davvero a disposizione la Regione Piemonte per affrontare tutto questo?".

La denuncia di una visione distorta del quartiere e le donne come deterrente

"Il presidio di polizia viene visto come un segnale di pericolo, ma Barriera è piena di iniziative solidali. La paura cresce anche a causa di una narrazione che ignora la quotidianità positiva del quartiere–aggiunge Boglino–. Le donne spesso hanno timore a uscire da sole, anche se i dati dicono che i pericoli maggiori si trovano in ambito domestico, da parte di partner, ex partner o familiari. Eppure, una maggiore presenza femminile negli spazi pubblici può rappresentare un deterrente molto più efficace della presenza militare".

E conclude: "In Barriera c’è un problema di violenza maschile, ma come donna mi è capitato di sentirmi più protetta dei miei coetanei uomini, perché la presenza femminile in alcuni contesti attenua e disincentiva l'aggressività esplicita, che invece in contesti solo maschili è normalizzata. Non è una soluzione universale, ma politiche sociali più consistenti e cittadini e cittadine attivi negli spazi pubblici è il vero antidoto alla paura e alla criminalità".

Così mentre da un lato la politica cittadina si divide, l'associazione Acmos invita a non dimenticare che Barriera di Milano è anche fatta di vita quotidiana, relazioni comunitarie e iniziative di valore – una realtà che dovrebbe meritare di essere raccontata oltre gli stereotipi.

Marco D’Agostino

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