Emigrato in Francia, Alessandro Ughetto era da poco rientrato in Italia, perché “come diceva sempre alle figlie, voleva venire a morire in Italia”, ricorda la nipote Loredana Prot. Aveva 69 anni e con la sua famiglia abitavano a Gran Dubbione: “All’epoca la povertà era tanta e si andava a prendere l’erba ovunque per le capre. Lui andava sulle pendici del Monte Aquila, in località Raudour, una zona impervia, a tagliare erba”.
Quel giorno, 17 agosto 1944, era in compagnia di un altro amico. All’improvviso è comparso un drappello di Brigate Nere, che hanno intimato loro l’alt: “Mio nonno era un po’ sordo. Mentre l’amico che era con lui ha alzato subito le braccia e ha cominciato a urlare che non erano partigiani, lui ha messo la mano alla fronte per vedere cosa stava succedendo. Non ha nemmeno avuto tempo di realizzare la situazione. L’hanno ucciso subito, è morto con ancora il suo pugno d’erba in mano”.
I brigatisti, poi individuati e condannati durante il processo che si è tenuto alla fine della guerra, avevano anche rubato l’orologio e i soldi dal suo portafoglio. Quando l’amico, avvicinandosi, se n’è accorto, si è imposto per riavere l’orologio in modo da poter restituire alla famiglia almeno un ricordo di una vittima innocente.
La prima croce in sua memoria, in ferro, è stata posizionata dai familiari proprio in quel punto quando la guerra è finita: “Purtroppo lì, visto il pendio molto ripido, tutti gli anni quando nevicava veniva giù una slavina. A causa di una di queste, la croce si è rotta ed è rimasto solo più un troncone”, spiega Prot.
Circa dieci anni fa Prot e il fratello, guidati dal pinaschese Guerino Ughetto, che conosceva bene il posto, hanno deciso di tornarci, salendo da Gran Dubbione. Hanno posizionato una croce in legno e incollato una targa, che però hanno fatto la stessa fine di quelle originali.
Prot non ha però rinunciato all’obiettivo e di recente, con un gruppetto di cinque suoi amici, sono risaliti per andare a cercare quel punto: “È stata un’impresa, non c’era più chi ci guidava. Io avevo dei vaghi ricordi di dov’era il punto e mio fratello ci ha aiutato telefonicamente dandoci indicazioni. Dopo vari sforzi abbiamo trovato questo moncone di croce piantato in un pietrone e abbiamo preso le coordinate”. Dopo un secondo sopralluogo, non senza difficoltà, sono saliti una terza volta, qualche giorno fa, con tutto il carico, tra cui una targa in acciaio inox e due trapani, per posizionare la nuova croce in ferro battuto: “Mi è sembrato che fosse un’idea bella e giusta per mio nonno, ma anche per lasciare un segno di quello che è successo e un monito perché non succeda più”.